Una cena molto originale
- Autore: Fernando Pessoa
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2004
Fernando Pessoa, portoghese, insieme a Borges è stato uno dei maggiori poeti del Novecento. Non soltanto poeta ma, come l’Argentino summenzionato, autore di brevi racconti e saggi.
Borges ha sempre evitato il romanzo, Pessoa ne ha scritto uno autobiografico, Il libro dell’inquietudine (con una egregia prefazione di Antonio Tabucchi nell’edizione italiana).
Chi ama Pessoa, lo ama proprio in virtù di tale inquietudine, generata da profonda introspezione, la quale procede di pari passo con lo scandaglio del mondo esterno e della storia, sondati anche soprattutto nell’aspetto esoterico, più segreto.
Pessoa è uno scrittore del mistero. Ha amato molto, e tradotto, Edgar Allan Poe. Ha scritto racconti gialli, polizieschi, perfino horror, imparentandosi con Poe.
Passigli offre diversi suoi testi brevi, una serie preziosa di racconti, pubblicati via via. Sono una specie di mordi e fuggi nella carne metaforica della psiche; morsi profondi, che fanno sanguinare.
Fra gli altri, Una cena molto originale (Passigli, pp. 70, 2004), tradotto da Amina Di Munno. A questo si aggiunge, nello stesso volumetto, il poliziesco Il furto della Villa delle Vigne, con traduzione di Roberto Mulinacci.
Se il secondo testo, frammentario, vuole mettere in luce il senso di colpa del ladro, (questi ruba 100 titoli di Stato in una cassaforte in casa di amici) sperimentato dalla coscienza messa a nudo dall’investigatore dottor Quaresima, ben altro emerge nella cena “molto originale”. Questo è un noir da brivido, da svenimento; accade di svenire al personaggio che narra la storia.
Di che natura sia la cena si potrebbe scoprire già dall’esergo:
"Dimmi cosa mangi, ti dirò chi sei" firmato: Qualcuno.
Vediamo come Pessoa giochi con l’immaginazione, inventando una citazione inesistente. Pochi lettori, da questo indizio servito sul piatto d’argento, andranno a pensare a un truce episodio di... antropofagia.
Il protagonista, Herr Prosit, è un gastronomo di Berlino, presidente della Società Gastronomica di quella città; estroverso all’eccesso, rumoroso, ridanciano, ma sempre pacifico, privo di ira. La sua paciosità, unità a lampi di sguardi ironici e maliziosi, a un fondo insondabile di malinconia, è sottolineata costantemente. Invece... mio Dio!
Con la complicità di cinque uomini di colore (anche il nero è simbolico) il caro dr. Prosit offre a 52 persone la cena specialissima. I convitati, scoperta la natura della carne, sviluppano una rabbia incontenibile verso di lui, a sua volta omicida.
"Sarebbe stata, per un ignaro spettatore, una scena orribile vedere quegli uomini colti, ben vestiti, raffinati, animati da una furia più che bestiale. […] Io stesso, primo fra tutti, colpii l’assassino con una collera così terribile da farmi sembrare quella di un altro”.
Il racconto dice, in forma di parabola, quanto il male alberghi in tutti, anche nelle persone miti in apparenza, acculturate ed educate. Non sempre la scorza della civiltà sa contenerlo e tutti, in modo sconosciuto a noi stessi fino a che non viene svelato dagli accadimenti, siamo anche un “altro”, quasi sempre peggiore delle apparenze consuete, della decenza prestabilita, dei buoni sentimenti.
Solo la conoscenza di sé, lo smascheramento di contenuti inconsci che Pessoa contribuisce grandemente a rivelare, può mutare il male originario.
Sapendolo, si rimedia, il cuore umano riserva molte sorprese.
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