Gli ultimi giorni di Mata Hari di Giuseppe Scaraffia

Mata Hari: semplice associare questo nome a storie di spionaggio, film con donne affascinanti che stregano gli uomini e giungono al loro obiettivo con facilità.
Di Mata Hari ne è esistita soltanto una e nemmeno clonandola ne vedremo un’altra, potete credermi.

Guardò negli occhi il comandante del plotone:

“Monsieur, vi ringrazio.”

Non volle che le bendassero gli occhi: Mata Hari non significava forse “Luce del Mattino”?
Margaretha Geertruida Zelle, questo il suo vero nome. Un nome che ha attraversato i salotti di tutta Europa, spesso associato a scandali, ma ancor più abbinato alle parole fascino e sensualità. Molti l’hanno conosciuta, troppi l’hanno rinnegata.
Il suo nome era scomodo, lei era scomoda. Il suo destino? Essere il capro espiatorio perfetto per le coscienze dei più.

Tutti noi conosciamo la vita e, purtroppo, la fine di Mata Hari. Però forse un dettaglio ci è sfuggito, tra le pagine che abbiamo letto nel corso degli anni. Non so, leggendo questo libro di Giuseppe Scaraffia mi è sembrato che diversi tasselli si aggiungessero al mosaico, mostrandomi uno scenario dal respiro molto più ampio.
“Gli ultimi giorni di Mata Hari” (UTET, 2015, pp. 144, euro 14,00) è un’opera ricca di contenuti che vuole narrare la vita di una donna molto, forse troppo chiacchierata. Pagine che sanno di verità e che potrebbero dirci cose che non volevamo sentire. Eppure, come Mata Hari, rifiuteremo la benda e guarderemo con coraggio.