A riveder le stelle. Dante, il poeta che inventò l’Italia
- Autore: Aldo Cazzullo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2020
Un tempo il programma di Letteratura italiana da presentare agli esami di maturità liceale prevedeva la lettura e il commento oltre che dei canti del Paradiso dantesco studiati nell’ultimo anno di liceo anche il richiamo di cinque canti dell’Inferno e cinque del Purgatorio tra quelli studiati nel terzo e quarto anno. Erano i canti “scolastici”, quelli che si ritenevano più importanti per una conoscenza sommaria della Divina Commedia. Così rimanevano in mente gli amanti Paolo e Francesca, Caronte, Minosse, Farinata degli Uberti, Cacciaguida, Ciacco, il Conte Ugolino e l’Arcivescovo Ruggieri, Catone… per finire con San Bernardo e la sua meravigliosa preghiera alla Vergine. Ma di tutti gli altri personaggi che affollavano l’universo dantesco non se ne sapeva più nulla, a meno che qualcuno poi non avesse intrapreso studi universitari umanistici per cui avrebbe dovuto (almeno) completare lo studio del Poema, o non avesse deciso (come fece chi scrive) di completarne la lettura per conto proprio. Ma anche il commento che chiariva di tanto in tanto il senso di alcuni passi delle terzine rimaneva alla fine frammentario, ed è per tale motivo che uno dei compiti di casa era quello di riassumere i canti che via via venivano studiati, per averne una visione più uniforme.
Questa premessa è stata necessaria per sottolineare il pregio principale del libro A riveder le stelle. Dante, il poeta che inventò l’Italia (Mondadori, 2020) di Aldo Cazzullo (scrittore, editorialista del "Corriere"), cioè, quello di averci ridato l’Inferno di Dante nella stesura di un romanzo, di una bella narrazione di questo viaggio ultraterreno scena dopo scena, soffermandosi su ogni personaggio incontrato con un cumulo di notizie che vanno al di là del mero commento scolastico, cosicché, come in un abile gioco di incastro, le vicende umane di quei secoli lontani rimandano quasi sempre a vicende che ci toccano da vicino. Cazzullo riesce con la sua scrittura a offrirci un excursus su fatti e personaggi che sembrano assemblarsi in un gigantesco mosaico il cui leitmotiv non è costituito da altro che non sia la natura dell’essere umano con i suoi pregi e i suoi difetti. Infatti, la stessa umanità di Dante viene tenuta da Cazzullo sempre in primo piano, anche perché il viaggio che egli compie è, com’è noto, anche un riconsiderare gli errori in cui è incappato e il modo di non ripeterli per essere degno di salvare la propria anima.
Ma un pregio del libro è anche quello di non contenere alcun rimando alla politica di casa nostra, anche se di analogie se ne sarebbero potute trarre tante dal confronto delle nostre vicende politiche con quelle dei tempi di Dante. Cazzullo ci riporta abilmente alla memoria personaggi dell’Inferno che allora come oggi costituivano il peggior tessuto sociale dell’Italia: ignavi, taccagni, traditori, spergiuri, scialacquatori, assassini, puttanieri, ma anche tanti miti che Dante recupera dalla trama della sua enorme cultura, per cui incontriamo anche centauri, mostri mitologici, Minosse, Ercole, Medea, giganti e così via che si ritrovano a condividere il luogo infernale e le sorti dei dannati, per tacere degli squarci paesaggistici che il Poeta ci offre e che spaziano dal lago di Garda fino allo stretto di Messina con l’evocazione di Scilla e Cariddi.
Un saggio molto bello questo A riveder le stelle di Cazzullo, che si legge avidamente come quei libri gialli che ci catturano finché non siamo giunti alla scoperta del colpevole. Ed è encomiabile che alla fine l’autore tenga a dichiarare il suo debito di riconoscenza per la stesura del suo libro verso altri scrittori che prima di lui hanno già pubblicato altri libri su Dante in occasione del settecentesimo anniversario della morte dell’Alighieri (1265-1321), ma anche verso una delle più grandi studiose del Poema, Anna Maria Chiavacci Leonardi, il cui Commento alla Divina Commedia rimane insuperabile e che, nel suo genere, è un capolavoro.
Aldo Scimone
Aldo Cazzullo, noto giornalista del Corriere della Sera, si mette nei panni di un semplice cittadino italiano lettore per ripercorrere in un viaggio vorticoso, come quello compiuto da Dante nella settimana santa del 1300, tutto intero l’Inferno dantesco, con i suoi personaggi celebri, con quelli meno raccontati dalla tradizione, con i versi immortali legati a momenti indimenticabili, ma anche con quelli più ostici, meno raffinati, le celebri “rime chiocce”.
Il sottotitolo del libro, "Dante, il poeta che inventò l’Italia”, dice molto sull’intenzione dell’autore, che ha provato a raccontare come questo misterioso poeta nato nel 1265, alla fine del Medio Evo, abbia saputo con il suo poema saldare la grande tradizione della cultura classica con quella cattolica, il latino colto con il volgare popolare parlato a Firenze, gli influssi della filosofia aristotelica con la grande eredità della cultura araba. Cazzullo non fa l’esegesi della Commedia, già compiuta da centinaia di critici in tutto il mondo, ma prova con successo a raccontare attraverso i versi danteschi l’itinerario spirituale compiuto dal poeta nell’attraversare quella penisola, non ancora una nazione, che diventerà l’Italia, ma che lui aveva in qualche modo già identificato in una sintesi di linguaggi, tradizioni, personalità, costumi.
In questo libro Dante diventa immortale sia per i meriti letterari, ma soprattutto per la sua visione profetica, per la sua capacità di feroce critico delle istituzioni nelle quali pure credeva: impero e papato, che sono i capisaldi della sua concezione politica, sono stati però messi a dura prova dai pessimi esempi degli uomini che li hanno rappresentati. Ecco dunque le critiche sferzanti a uomini, laici e religiosi, fiorentini, lucchesi, pisani, senesi, francesi, tedeschi, a nessuno dei quali il poeta ha fatto sconti. Sono condannati alla dannazione eterna Bonifacio VIII insieme a Farinata, Ulisse, il conte Ugolino, Pier delle Vigne e Brunetto Latini: uomini stimati, disprezzati, ma puniti a causa della sua fede, basata su una concezione morale solida e determinata.
Ma la leggerezza del libro sta nei tanti accenni alla storia italiana che da Dante arriva fino ai nostri difficili giorni, rievocando paesaggi, rapporti, episodi che hanno caratterizzato la vicenda che ha portato in sette secoli travagliati alla unità nazionale. I martiri del Risorgimento, Machiavelli, Dino Campana e Ungaretti, Cristoforo Colombo, Raffaello e Giotto, Roberto Benigni, James Joyce e Borges, Stephen King, Pessoa, Shakespeare, Flaubert, Goethe, Bulgakov... tutti hanno diritto a essere citati, tutti hanno avuto a che fare con Dante e la sua gigantesca invenzione narrativa, tutti hanno fatto i conti con la sua grandezza.
Le città italiane, i territori più impervi e meno frequentati, lo stretto di Messina, l’Etna, l’Arsenale di Venezia, il delta del Po, la Sardegna, il Quarnaro, la Toscana tutta, tutto è riassunto in una citazione di Carlo Azeglio Ciampi, “Mi sento profondamente livornese, toscano, italiano, europeo”, capace di spiegare l’essenza del grande merito di Dante, che aveva con la sua visione profetica, che è propria dei grandi artisti, definito per primo “il bel paese là dove ’l sì suona” (il paese in cui si dice “sì”, Inferno, XXXIII).
Per quasi quarant’anni ho insegnato lettere in un Istituto Tecnico: generazioni di alunni hanno condiviso con me l’emozione dei versi più celebri dell’Inferno, letti sempre ad alta voce, quelli dedicati a Paolo e Francesca, Farinata, Ulisse. Sono grata però ad Aldo Cazzullo di avermi fatto rileggere, ripassare, come si dice a scuola, tanti passi che a scuola ormai non si leggono più, tanti passaggi meno noti, tanti episodi addirittura sconosciuti, tante riflessioni che l’architettura prodigiosa della Commedia è in grado di suscitare anche nei lettori meno attenti, a quelli che hanno studiato al liceo tanti anni fa e hanno dimenticato o rimosso una lezione fondamentale nella costruzione delle nostra identità di cittadini, religiosi, laici, atei, provenienti da altre culture o altri paesi, ma oggi italiani. Insieme possiamo ancora tornare a “rivedere le stelle”, suggerisce l’autore del libro, suggerendo una ventata di ottimismo, molto gradita al momento.
Elisabetta Bolondi
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Aldo Cazzullo, editorialista per il Corriere della Sera e autore di numerosi saggi storici come “La guerra dei nostri nonni”, “Giuro che non avrò più fame” e moltissimi altri ancora, propone un nuovo lavoro, nel quale coniuga la letteratura delle nostre origini, la storia passata e la storia attuale del “ Bel Paese”, ripercorrendo, girone dopo girone, il viaggio negli Inferi. L’autore attualizza i fatti di ieri con gli eventi contemporanei. Dante Alighieri è poeta e autore di oggi per molti elementi, in primis il linguaggio. Cosa ci resta del linguaggio dantesco nella nostra comunicazione quotidiana? Quanto nei modi di dire, nelle espressioni che usiamo senza pensare chi e quando le ha coniate? Molto a giudicare dal saggio, eccone qualche esempio:
“Non ragioniam di lor ma guarda e passa”,
“Per me si va nella città dolente”,
“Cosa fatta capo ha”,
“Galeotto fu il libro e chi lo scrisse”,
“Colui che per viltade fece il gran rifiuto”e tante altre.
Queste espressioni sono diventate modi di dire, talvolta anche figure retoriche di uso comune, come per l’antonomasia “galeotto”. Un altro spunto di riflessione è anche il concetto di “Italia” L’editorialista, infatti, non attribuisce a Dante solo la paternità della nostra lingua, “[…] Dante non è soltanto il padre della lingua italiana. Una lingua che si è mantenuta fresca e viva grazie a lui e ai suoi seguaci, anche se per secoli fuori da Firenze non l’ha parlata nessuno; ma anche la “paternità” dell’Italia, sebbene operi una precisazione di non poco conto: “ [Italia], un nome che ripete quasi ossessivamente, fin dal primo canto…Dante non pensa ad uno Stato italiano, che sarebbe nato solo 540 anni dopo la sua morte. Per lui il potere politico è l’Impero…” Questa riflessione dell’autore è indispensabile per non incorrere in un errore storico: Dante vive nella complessa e multiforme realtà del Comune e crede nell’Impero come Istituto politico, non pensa all’Italia come “Stato moderno”. L’Impero è l’unica Istituzione che può garantire la “felicità sulla Terra”.
Un’ ultima considerazione: Dante è un uomo dotato di una sensibilità “moderna” che ciascun lettore potrà scoprire con piacere attraverso il saggio; mi soffermo solo su due temi:
- L’amore per il sapere e “come l’uom s’etterna”: “…l’abbraccio commosso dei due latini” [Virgilio e Brunetto Latini]. Virgilio viene “salvato” da Dante” per le sue qualità intellettuali e collocato nella Valletta dei Principi, con altri “Spiriti Magni” e Brunetto Latini, “suo maestro”, che non si aspetta di vedere in quel luogo infernale “Siete voi qui, Ser Brunetto?” Dante, nei confronti di Brunetto ha un atteggiamento di grande rispetto, vorrebbe fermarsi a parlare con lui, non gli importa la sua condanna: sodomia, peccato mortale nel Medioevo, onta gravissima e esclusione dalla vita religiosa e sociale. Eppure Dante è profondamente addolorato nel vedere “la cara e buona immagine paterna” in quel luogo e nella sua opera si ripromette di “far vedere quanto l’ha stimato”
- Da “Il coraggio di sopravvivere” (cap X) Nella selva dei suicidi, Dante incontra Pier delle Vigne, consigliere di Federico II (“io son colui che tenni ambo le chiavi del cor di Federigo…”) suicida per “disdegnoso gusto”. Pier delle Vigne si era ucciso “sfracellandosi” la testa contro un muro. Morte terribile! La pena del contrappasso per lui e per gli altri dannati, la chiarisce proprio il Pier: “uomini fummo, e or siam fatti sterpi” dai rami nodosi escono parole e sangue. Il rispetto per il corpo è un obbligo morale al tempo di Dante, e la trasformazione in un corpo vegetale è una grande forma di umiliazione. Dante non condivide la pratica stoica del suicidio, ma, di fronte a tale spettacolo, ammutolisce e rimane scosso, ha bisogno di sapere cosa accadrà a questi spiriti alla fine dei Tempi “quando ciascuno riprenderà il proprio corpo”. Ai suicidi, ciò non è concesso. “ I corpi saranno trascinati quaggiù; e saranno appesi alla selva, ognuno penzolante al pruno germogliato dalla propria ombra molesta”. L’episodio si conclude con un ufficio pietoso: Dante raccoglie le fronde sparse di un concittadino anonimo e le poggia presso il proprio albero. Forse la sorte che immagina per i suicidi gli permetterà di affrontare con coraggio l’esilio? Molti esuli bianchi lo avevano preferito all’ onta dell’esilio. Dante, no. La strada che porta alla salvezza è dura, è la consapevolezza che lui proverà “come sa di sale lo pane altrui e come è duro calle lo scender e lo salir per l’altrui scale”.