Cento racconti
- Autore: Ray Bradbury
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Mondadori
Il demone della narrativa fantastica si impossessò molto presto di Ray Bradbury. Non aveva ancora imparato a leggere quando la madre, un’immigrata svedese, e la zia lo intrattenevano con le storie del Mago di Oz e di Edgar Allan Poe. Sono gli anni Venti del secolo scorso in una cittadina dell’Illinois dalla quale la famiglia Bradbury si allontanerà tra poco per trasferirsi in Arizona. Un’infanzia incantata, dicono quelli che vedono in Bradbury soltanto il cantore nostalgico della piccola provincia americana, con le sue verande di legno, i vecchi che bevono la limonata sulla sedia a dondolo, le sere afose in cui il tempo sembra pietrificato. Ma l’“amarcord” di Bradbury smentisce questa visione rasserenante. Vecchia America significa infanzia e cose irrimediabilmente perdute, ma significa anche tedio e inquietudine per ciò che può celarsi nel buio oltre la siepe.
Dichiarava lo scrittore ormai settantenne:
“Nell’America della Grande Depressione ho conosciuto la miseria e l’avvilimento delle città di provincia: fu in quegli anni trascorsi nell’Illinois che imparai a soddisfare i miei desideri con la fantasia”.
Nella lotta contro la noia, Ray prende come complici i libri di Wells, Verne, Burroughs. A ventun anni pubblica il suo primo racconto su una rivista popolare, ma trascorreranno ancora dieci anni prima che possa mantenersi con la scrittura. Frattanto si sposa con Margaret, la quale lavorerà per entrambi nell’attesa tenace che Ray diventi famoso. E Ray diventa famoso. Sarà poeta, narratore, sceneggiatore cinematografico, autore teatrale, scrittore conteso dalle riviste più prestigiose e i suoi libri venderanno quasi cinquanta milioni di copie nel mondo.
“Viaggiare in altri mondi è una metafora dell’immortalità.”
diceva
“Ogni volta che finisco un racconto mi sembra di sfidare Thanatos: ‘Ti ho fregato oggi, eh? Questo manoscritto mi sopravviverà’.”
Proprio pensando all’incontro finale con Thanatos, che avvenne nel 2012, Bradbury aveva espresso il desiderio che sulla lapide della sua tomba fossero incise le parole “Fu un narratore di favole”. Pochi, in effetti, hanno saputo coniugare come Bradbury tutte le forme moderne della favola, se per favola si intende anche l’incursione in una possibile filigrana della realtà, lo scarto verso la meraviglia o verso la paura, la lettura del futuro come metafora del presente o come estrapolazione del presente stesso (Fahrenheit 451).
La paura, dicevamo. Sì, perché Bradbury ha toccato alcuni dei suoi vertici narrativi addentrandosi nel cuore di tenebra dell’innocenza apparente, come nel romanzo Il popolo dell’autunno o in alcune storie brevi che rappresentano altrettanti piccoli capolavori dove Bradbury tiene sotto controllo il suo stile che negli esiti meno felici si annacqua nell’intento di essere poetico a tutti i costi.
I racconti di Bradbury. Autoantologia 1943-1980
L’antologia più vasta (oltre 1300 pagine) di Bradbury si intitola Cento racconti e l’ha pubblicata Mondadori utilizzando traduzioni già uscite in Italia (a cura di Grazia Maria Griffini, Giorgio Monicelli, Antonangelo Pinna, Renato Prinzhofer, Manola Stanchi, Vanna Signorini, Laura Grimaldi), a parte alcune, curate da Giuseppe Lippi, che riguardano i racconti mai pubblicati finora nella nostra lingua. Contiene storie scritte da Bradbury nell’arco di quasi quarant’anni della sua vita, dal 1943 al 1980, e dunque rappresenta tutti i temi e i colori stilistici toccati dall’autore delle Cronache marziane nella sua fortunata carriera letteraria.
Il libro si apre con un’intervista inedita a Bradbury del 1976, commissionata dalla “Paris Review” e mai pubblicata, nella quale si entra nel laboratorio di scrittore di Bradbury, fra i suoi amori letterari, le sue abitudini di lavoro, le sue convinzioni artistiche. Segue una breve introduzione nella quale l’autore dichiara:
“Se c’è una cosa che in questo libro ho inteso fornire, questa è semplicemente la mappa della vita di un uomo che a un certo punto si è messo in viaggio verso qualche meta, e poi ha continuato ad andare”.
Dall’incipit della frase si capisce che questa antologia, come del resto è indicato nel sottotitolo, è un’autoantologia. I racconti li ha scelti l’autore e ciò potrebbe sembrare la garanzia che dentro questo libro c’è sicuramente il meglio della narrativa breve di Bradbury. Non è proprio così, non essendo del tutto scontato che gli scrittori sappiano qual è il loro “meglio”; però, se anche qualche racconto valido può essere stato lasciato fuori da queste pagine, si può star certi comunque che gran parte dei racconti migliori di Bradbury si trova qui.
Nel rispetto delle scelte dell’autore, i racconti non sono ordinati cronologicamente, ed è un peccato perché ci viene tolta la possibilità di seguire le mutazioni dell’arte di Bradbury nel tempo. Eccoci, comunque, sulla ruota delle meraviglie bradburiana. Il viaggio incomincia con una storia di infanzia e solitudine e si conclude con uno sguardo di attesa e speranza rivolto allo spazio infinito.
Nel corso del cammino incontreremo macchine della felicità, paesaggi marziani, bambini perversi, invenzioni diaboliche, orchestrazioni di melanconia o di pura magia. L’infanzia e la vecchiaia – o la morte – sono motivi che ritornano e rappresentano l’infanzia trasfigurata dello scrittore o il senso della fine contro il quale la scrittura, secondo Bradbury, può fare da argine.
Non mancano nemmeno i funambolismi verbali, costruzioni narrative scintillanti che sorprendono ma dalle quali si esce a mani vuote. Ma c’è soprattutto il Bradbury migliore, quello che ha impresso una svolta decisiva alla fantascienza tradizionale e che ha dipinto con pochi tocchi, senza una sbavatura, dimensioni angosciose o incantevoli con l’animo immutato di un eterno ragazzo curioso e ammaliato da tutto ciò che lo circonda. Del resto fu proprio lui, compiuti 85 anni, a dire sorridendo che era rimasto
“un giovane ragazzo, con la testa e il cuore pieni di sogni ed eccitazione e un inarrestabile entusiasmo per la vita”.
A lui, umanista irriducibile fino al punto di rifiutare la pubblicazione delle sue opere su supporti elettronici, saremo sempre grati per averci ricordato che il bambino e il sognatore dormono dentro ciascuno di noi e che la letteratura può ridestarli.
- Traduzione dell’introduzione di Anna Ravano
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