Il Guerrin Meschino
- Autore: Gesualdo Bufalino
- Categoria: Narrativa Italiana
Il “Guerrin Meschino”, pubblicato da Gesualdo Bufalino la prima volta nel 1991 per una ristretta cerchia di lettori, fu ristampato nel 1993 (ed. Bompiani).
E’ un romanzo che mostra uno scenario fantastico dove interminabili e inconsueti eventi si intrecciano con gli enigmi dell’esistenza. Quel che vi si scorge sin dalle prime pagine è lo straniamento favolistico della storia, raccontata da un puparo. Il contesto ambientale è medioevale anche se il tema di fondo è tipico del presente o, meglio, di ogni tempo. Il mondo qui appare come impigliato in una ragnatela di subdole parvenze che fanno disperdere il senso dell’identità ed è babelica rappresentazione d’un vorace nulla. Sicché, la favola stessa, perdendo la sua fisionomia, muta la funzione nel naufragio delle esperienze.
Il fertile immaginario di Gesualdo Bufalino è avvincente e si manifesta in una scrittura arcaica, visionaria e metaforica. Sul gioco dell’invenzione, lo scrittore ridà così vita al Guerrino, mostrandolo alla ricerca della propria origine.“Meschino”, l’epiteto del personaggio sorto la prima volta dall’estro di Andrea da Barberino, equivale a “misero” (“El desdichado”, il disgraziato lo dice Bufalino stesso parlando della genesi della sua opera). E sta a indicare una condizione di solitudine in conseguenza della sua nascita a lui ignota. E’ infatti Guerrino un trovatello che non conosce i genitori, essendo stato rapito dai corsari. Poi la vicenda s’infittisce fino ad assumere i connotati dell’impresa cavalleresca. Affrancato dalla servitù per essersi dimostrato uno spadaccino fra i più abili, decide di girare il mondo per cercare e trovare la sua radice. Ne nasce un singolare viaggio dall’atmosfera iniziatica e ricco di intrecci tenebrosi. Viene in mente “L’eletto” di Thomas Mann dove il giovane Gorio, abbandonato al proprio destino, si espone ad ogni pericolo per scoprire la sua origine. Ma la differenza è fondamentale, perché il cammino di Guerrino si perde nel non senso d’una realtà precaria e inesorabilmente sfuggente. Il reale è scomposto in visioni oniriche dall’incessante flusso che sembra originare rammarico e pena. Bufalino è molto abile nel dilatare il cammino di questo personaggio in una rete di rappresentazioni dove spiccano ostacoli sempre più intrappolanti in una foresta intesa come “l’arboreo e dannato labirinto”: luogo di metamorfosi e dissolvenze, di mostri, lebbrosi e viandanti. C’è in tutto questo la visione d’un mondo sopraffatto dal male, ci sono difficili prove da superare, e c’è un dubbio insidioso che nientifica la tensione cognitiva di Guerrino:
“Se il fine occulto del suo cercare fosse stato quello del non trovare”.
Egli marionetta , e marionetta è il puparo che scorge nella morte l’esito del movimento delle cordicelle . Quando quest’ultimo sente ridursi le bravure a causa delle forze che gli vengono meno, con rimpianto ripete:
“Non si dovrebbe diventar vecchi”.
E alle richieste di continuare a narrare oppone un netto rifiuto, dicendo:
“Quando una cosa finisce, finisce”.
Un destino di dissoluzione si esprime allora come in una fuga di specchi in cui tutti appaiono evanescenti presenze d’una ingannevole recita. Ai pochi clienti della piazza che gli chiedono della sorte di Guerrino, il vecchio puparo risponde:
“Morendo io, muore anche lui”.
Non esistono che vecchiaia e morte dinanzi all’inevitabile corrosione, misura d’un negativo metafisico. Da qui la pirandelliana supposizione del “mondo come opera dei pupi” entro cui si consuma il risentimento del puparo:
“Un macchinista più scaltro / mi manovra con le sue mani, /sono io il suo pupo a filo”.
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