Il desiderio di essere come tutti
- Autore: Francesco Piccolo
- Genere: Storie vere
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2013
“Il desiderio di essere come tutti” (Einaudi, 2013) è l’autobiografia del giornalista e scrittore Francesco Piccolo che ci racconta di sé e della sua vita. Il libro è diviso in due parti con titoli ben differenti: ”La vita pura: io e Berlinguer” e “La vita impura: io e Berlusconi” e narra della tortuosa strada che l’autore, come la maggioranza di persone ormai mature, ha percorso nella sua vita per trovare una propria identità.
Si parte dalla scelta, venuta dall’istinto e dal cuore dell’autore adolescente, di essere comunista che si scontra con le ideologie del padre e con il tipo di vita da lui condotto:
"Ero un ragazzo un po’ ricco, un po’ nullafacente che si interessava alle cose in modo confuso e superficiale e passava gran parte del suo tempo insieme ad amici un po’ stupidi e nullafacenti come lui”.
Si giunge alla presa di coscienza del proprio egoismo quando, durante il terremoto nella sua città, Caserta, il protagonista non spera, come la madre, che tutta la famiglia o si salvi o muoia insieme, bensì, comunque, si augura di sopravvivere:
“Se qualcuno deve morire, allora preferisco non tutti e cinque ma il minor numero possibile, uno o due al massimo. E, onestamente, non volevo essere tra quelli. Se c’era da restare qui a soffrire per la morte degli altri, restavo io”.
Ecco un autoritratto, con termini anche ironici, del protagonista, uno come tanti e con un naturale istinto di autoconservazione. Tutto ciò è espresso, però, con un linguaggio piuttosto triste, tipico dell’adolescenza, di quel periodo in cui si mescolano le ideologie politiche ai primi innamoramenti e tutto esalta o deprime, a seconda dei momenti.
Il protagonista ci mostra poi la parte più profonda delle proprie idee quando, ancora nel periodo adolescenziale, narra, con parole sentite, del rapimento Moro, il politico che avrebbe dovuto esser l’artefice del “compromesso storico” insieme a Berlinguer e piange, addirittura, quando l’uomo simbolo del proprio partito, il PCI, nel giro di pochi giorni, perde la vita.
“TUTTI è l’enorme titolo rosso che l’Unità dedica ai funerali di Berlinguer... Tutti sono partiti per Piazza San Giovanni, io invece sono rimasto a casa .... davanti al televisore .... Leggo quell’ADDIO rosso a caratteri cubitali tenuto alto dalle braccia di tantissimi per mostrare al mondo di fare parte di TUTTI. E a quel dolore reagisco con disperazione e commozione; ci sono anch’io e sono parte di TUTTI”.
Il secondo e ultimo capitolo del libro ruota attorno alla figura di Berlusconi, descritto già come un politico affermato. Il protagonista collabora con riviste e propone i suoi racconti a una casa editrice, mentre assiste a una svolta epocale della Storia della Repubblica italiana, quando l’imprenditore entra in politica, diventa Presidente del Consiglio, forma un Governo molto diverso da quello che il protagonista avrebbe immaginato. Piccolo assiste, da giornalista, a radicali cambiamenti nella politica ed in essa, psicologicamente, rientra con difficoltà.
“Chi è il vero erede di Berlinguer?”
si domanda più e più volte, non convinto da quelle coalizioni, ora di sinistra, che vedono insieme ex – democristiani, ex – socialisti ed altri ancora. Non trova una propria dimensione, è dubbioso circa il voto ma la risposta sta nella scelta di tener fede a ciò che si era, da giovane, ripromesso. Da qui in poi, la narrazione si sussegue fra dubbi e incertezze. Sta, inoltre, al lettore, in questa parte del libro, dare una propria interpretazione perché ci si addentra troppo nella visione personale dello scrittore nonché su giudizi circa i personaggi politici, Berlusconi per primo, che hanno guidato il Paese negli ultimi decenni. Parti del libro contengono, però, parole da annotare, come il discorso di Parise
“che non ricorda, non riconosce più la propria Italia e che attribuisce la colpa di tutto ciò non a sé ma alla forza delle cose (la storia) che ha mutato profondamente il nostro Paese”.
Appaiono tante critiche, sia verso il potere sia per chi lo ha osteggiato. Purtroppo, infatti, queste diatribe hanno distratto dal fulcro d’azione la lotta politica per una rinascita della nostra nazione. L’autore trova, pur nella fase impura, quella che comunque ideologicamente rifiuta, tratti che hanno costituito la sua vita e che egli non ricusa perché anche questo periodo fa parte della sua esistenza. Quel che non gli va più, da giornalista affermato, è la superiorità penetrata in lui attraverso la sua ideologia e che lo aveva reso impermeabile rispetto alle persone diverse da lui. Quindi, traendo spunto dalle parole della Ginzburg, chiarisce finalmente chi siano TUTTI:
“Tutti vuol dire il Paese e non solo il popolo comunista”. L’autore si accorge della propria valutazione parziale, riflette sui propri credo e amplia anche i propri orizzonti.
Questa è una lettura impegnativa, forse adatta a chi ha una formazione di sinistra ma, anche, come dice l’autore, al Paese intero.
Si lascia quindi i lettori con un’ultima riflessione dello scrittore:
“Ecco che cos’era venuto Berlusconi a fare qui: a metter alla prova il mio senso democratico. Ma io, quella prova, ho tutta l’intenzione di superarla. Perché l’Italia è il Paese che io amo e qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti”.
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L’impostazione che Francesco Piccolo dà al suo "Il desiderio di essere come tutti", edito da Einaudi nel 2013 e vincitore del Premio Strega nell’anno successivo, è di natura genealogica. L’io narrante – identificato in larga parte con l’autore, sia per le indicazioni biografiche sia, specialmente, per diversi passaggi della sua carriera di scrittore e di intellettuale di sinistra, ben più riscontrabili delle prime – ripercorre le tappe fondamentali della propria esistenza, – più precisamente i punti problematici di snodo, in seguito ai quali si producono i cambiamenti, le variazioni di prospettiva, la diversità di un modo di vedere se stessi e se stessi nel mondo – in un’apparente cronologia degli eventi rinvenibile dalla prima adolescenza all’età matura, ai giorni in cui scrive il suo libro.
Si tratta tuttavia di un taglio genealogico in quanto il vissuto è interpretato attraverso la focalizzazione su quelle discontinuità che ad un tratto hanno incrinato l’unità e la continuità di una vita dall’andamento regolare, con le sue procedure e i suoi tempi, sulla quale si fissa l’identità dell’io. È proprio la questione identitaria ad essere al centro del romanzo, un’identità problematizzata fin dall’incipit, con quel «Sono nato in un giorno di inizio estate del 1973, a nove anni», che fissa il primo punto di discontinuità dal quale prende avvio l’articolarsi della vita dell’io narrante.
Non ci sono capitoli, né paragrafi titolati o semplicemente numerati, ad interrompere il racconto, ma solo la divisione in due macrosequenze finalizzate a legare a filo doppio il privato e il pubblico. La prima di queste macrosequenze identifica in Enrico Berlinguer (pubblico) la stella polare per la ricerca di una purezza interiore (privato), una «vita pura» che concili il modo di essere che si è razionalmente scelto di vivere con gli eventi della storia e con le posizioni espresse dal Partito Comunista, cui l’io narrante aderisce con fede, oltre che con passione.
L’arco di vita compreso in questa graduale ricerca di purezza, copre il ventennio dell’adolescenza, dal 1974 – precisamente dal gol di Sparwasser al 78° minuto di Germania Ovest-Germania Est – al 1994, quando trentenne lascia la città natale, Caserta, per trasferirsi a Roma (privato), quasi in coincidenza con l’approdo nella Capitale di Silvio Berlusconi (pubblico), fresco vincitore delle elezioni politiche, che inaugurerà la seconda macrosequenza del romanzo («la vita impura: io e Berlusconi») e il successivo ventennio dell’io-narrante come dell’Italia.
"Il desiderio di essere come tutti" è essenzialmente un romanzo politico, dunque. Ma non – o almeno non principalmente - perché rivive i momenti più significativi dell’ultimo nostro quarantennio di vita pubblica prendendo posizione e non rinunciando ad un’analisi personale dei fatti, bensì perché recupera una semantica della politica primigenia, intesa nel significato più genuino della relazionalità che è la sostanza stessa della sua definizione, una politica che non conosce steccati, confini, argini invalicabili, ma che cerca il dialogo specialmente con chi ha idee diverse, che ricerca con ostentazione la comprensione dell’altro, il compromesso tra orientamenti differenti in nome di un beneficio collettivo, che rifugga dalla purezza e pretenda la forma dell’impuro.
Nel mezzo, c’è la vita dell’io-narrante, interiore soprattutto, ma in relazione costante col mondo nel quale si muove, perché crede fermamente nel presente, nella forza delle cose. C’è l’amore puro per Elena, militante di estrema sinistra, finito a causa di una frivolezza; c’è l’amore impuro – perché fatto di problemi quotidiani, difficoltà e dissapori superati di volta in volta, di compromessi nella gestione dei propri spazi... - per la donna che sposerà e dalla quale avrà due figli e che chiama Chesaramai per sottolineare la leggerezza, o meglio la lieve superficialità con la quale affronta le cose della vita. Ed è proprio la superficialità il residuo che resiste nel punto di vista mobile dell’io-narrante, una superficialità che incorpora le diverse nature e inclinazioni dell’animo umano ed è l’antidoto per le ricadute nella purezza, sempre presenti allorché si impugna l’etica come unico campo di discussione.