Il giardino dei ciliegi
- Autore: Anton Cechov
- Genere: Classici
- Casa editrice: BUR
- Anno di pubblicazione: 2006
Il giardino dei ciliegi (BUR, Rizzoli, 2006, trad. Luigi Lunari) è sicuramente ancora oggi una delle prime opere teatrali che vengono in mente, anche se in realtà non molti la conoscono davvero.
Ennesimo frutto della collaborazione fra Anton Čechov e Konstantin Stanislavskij, fu l’ultima opera teatrale a vedere la luce dalla penna del suo autore, ormai seriamente malato e spossato dalle continue trasferte fra Mosca e Jalta.
Il testo fu inizialmente concepito come un dramma giocoso e ironico. Stanislavskij, però, ne dette una lettura in chiave cupa e nostalgica che seppe interpretare i veri pensieri dell’autore più di quanto non avesse fatto egli stesso.
Eppure, di che si tratta, infine? Di cosa parla la storia narrata ne Il giardino dei ciliegi? Della vendita di un giardino: un fatto della vita come un altro, e poco importa che, per qualcuno, quel giardino rappresentasse non solo un luogo piacevole in cui passare la bella stagione, ma i ricordi, l’infanzia, la famiglia, la vita stessa.
L’azione si svolge in una casa della provincia russa, e inizia con il ritorno, dopo cinque anni, della padrona Ljubov Andreevna, insieme al fratello Gaiev, alla figlia Anja e alla governante Charlotta. Ljubov ha vissuto per cinque anni a Parigi con il suo amante, cercando di dimenticare il figlioletto annegato proprio vicino alla casa: ma non si può fuggire a lungo dai fantasmi del passato.
Nella casa, Ljubov ritrova la figlia adottiva Varia, che in sua assenza ha tenuto il governo dell’edificio, insieme a Iepichodov, il contabile, e i camerieri: Duniascia, il giovane Iascia e il vecchio Firs.
Vi sono poi Trofimov, lo studente attempato che era professore del figlioletto, e il commerciante Lopachin. Proprio con quest’ultimo si innesta una diatriba: egli vorrebbere convincere Ljubov ad abbattere il giardino per costruire villette a schiera destinate ai villeggianti. Ljubov, però, trova i suoi discorsi oziosi e noiosi, e Gaiev le dà man forte, non prestando neppure orecchio a quella che, Lopachin insiste, potrebbe essere la loro unica salvezza.
Ma quando i debiti accumulati porteranno il giardino all’asta, sarà proprio Lopachin, tradendo la fiducia di Ljubov e Gaiev, a comprarlo per sé, riscattando così il passato da servi di suo nonno e suo padre, e infine anche il proprio, esibendo il suo trionfo davanti a quelli che prima erano padroni, e adesso non hanno più niente. Inspiegabilmente, però, nessuno riuscirà a portargli veramente rancore.
Nel frattempo, fra i protagonisti si intrecciano coppie, più spesso sognate, presunte, accennate, auspicate che reali.
Trofimov e Anja basano il loro rapporto su di un canzonatorio rifiuto dell’amore, fonte, per loro, di tutti i mali dell’uomo, godendo della propria attrazione reciproca: e sarà questa, paradossalmente, l’unica coppia che si realizzerà effettivamente.
Iascia, malgrado Duniascia gli confessi il proprio amore, la abbandonerà con disprezzo per una nuova vita a Parigi; in quanto a Lopachin e Varia, malgrado il loro sentimento vada al di là del tradimento di lui, e nonostante l’incoraggiamento da parte di Ljubov, l’imbarazzo impedisce loro di dichiararsi proprio nel momento in cui tutti stanno per lasciare la casa ormai vuota, mentre in sottofondo si sente, crudele, il rumore dei ciliegi che vengono tagliati.
Tutti partono, in direzioni diverse e con destini diversi: solo il vecchio Firs, da tutti creduto in ospedale, rimane solo, una volta che l’ultima porta si è chiusa, ad aspettare il suo destino:
La vita è passata, ed io… è come se non l’avessi vissuta.
I drammi di Čechov, come sottolina Peter Szondi nel suo saggio Teoria del dramma moderno, sono i drammi della rinuncia, e nessuna opera più del Giardino dei ciliegi potrebbe fungere da esempio per questa affermazione.
Ljubov, persa nel ricordo del suo bambino, e Gaiev, immerso nella propria indolenza, hanno di fatto rinunciato al giardino sin dal primo momento, e vivono una vita sospesa, lenta, appena accennata, quasi irreale.
Lopachin e Varia, incapaci di parlarsi, rinunciano a un amore che sembra a portata di mano. Il vecchio Firs rinuncia a combattere e si lascia trascinare dal proprio destino. Su tutti aleggia una cappa leggera ma impenetrabile, l’ineluttabilità della vita e l’inutilità del combattimento contro il destino.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il giardino dei ciliegi
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