Il giudice meschino
- Autore: Mimmo Gangemi
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2009
Un giudice viene ucciso sotto la propria abitazione da alcuni balordi. I balordi vengono in seguito a loro volta eliminati in modo efferato dalla ’ndrangheta, in apparenza senza un perché.
Alberto Lenzi, anch’egli magistrato e amico della vittima, è uno scansafatiche, indolente, con un debole per le belle donne. Sarà proprio lui però ad impegnarsi nelle indagini, riscattando così la nomea di magistrato inaffidabile, fino a rischiare addirittura la vita. Le indagini infatti lo condurranno su una pista pericolosa, dai risvolti inquietanti, costellata di altri omicidi collegati ad un misterioso traffico di scorie radioattive seppellite illegalmente.
In questo romanzo vi è una rassegna di personaggi tipici di un mondo appartenente alla piccola provincia del profondo sud, dove lo Stato ha lasciato da tempo terreno alle grandi organizzazioni del crimine organizzato, ai boss ’ngranghetisti con connivenze e complicità a vari livelli nelle istituzioni.
Sarà tuttavia proprio la figura di un capobastone della ’ndrangheta, Don Mico Rota, ormai al termine della sua carriera di mafioso, ad indirizzare il magistrato Lenzi sulla pista giusta da seguire, fino alla scoperta di una sconcertante verità.
Attraverso la figura di Don Mico Rota il lettore viene calato in una realtà fatta di silenzi eloquenti, di parole dette e non dette, di significati reconditi e messaggi da interpretare, di situazioni ambigue davanti alle quali il protagonista del romanzo è costretto a muoversi con molta circospezione, diffidando di tutto e di tutti, persino dei propri collaboratori.
Il giudice meschino
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ecco il mio punto di vista:
La copertina: una grata nel buio e fuori limoni e arance sotto la luce del sole.
Un’anticipazione di quanto troveremo nelle prime pagine: un carcere e il desiderio, forte, di tornare all’aria libera della campagna, al profumo degli agrumi.
Così si apre il romanzo …. e così si chiude; “camminare tra gli alberi assomiglia alla libertà”, Don Mico Rota, il vecchio capobastone, giudice e arbitro dentro e fuori, dopo oltre quattordici anni di carcere torna a respirare il profumo delle zaghere, agli arresti domiciliari.
Ma fra questi due momenti, numerosi e vari sono gli eventi e gli scenari che appassioneranno il lettore.
La morte violenta di un giudice, Giorgio Maremmi, in una terra non sua, lui, toscano, in una terra non amata, con un lavoro scelto per compiacere un padre invadente.
Questo l’evento da cui si dipanano vicende appassionanti che, grazie ad uno stile svelto, ironico, acuto e accattivante, tengono il lettore attento e interessato sino all’ultima pagina.
Le indagini continueranno e il posto di Maremmi sarà occupato dal suo amico Alberto Lenzi, uno sfaccendato gaudente considerato un incapace, un giudice “meschino”, appunto, che, un po’ per l’affetto che lo legava a Giorgio, un po’ per la piega che prenderanno le vicende, si dedicherà al caso con coraggio e forte impegno.
L’inchiesta si complica, emergono elementi legati a un traffico di rifiuti tossici, con implicazioni che si allargano ben oltre la ‘ndrangheta. Il discorso su questa materia è condotto con stile, appena accennato all’inizio, mai espresso in modo esplicito, sempre e solo pochi cenni, appena abbozzati, fra le pieghe di altri discorsi, poi, in un crescendo, come per l’avvicinarsi di una telecamera, la messa a fuoco, la rivelazione! Il titolare dell’Ecogreen sud, dopo un attento esame di carte, non può che rilevare “forti tracce di radioattività ….”, poi, per paura ed omertà, chiude il discorso.
Ed è questo il punto di svolta, da questo momento in poi Alberto prende ancora più seriamente il suo compito e racconta tutte le sue scoperte al Procuratore, che inizia ad odiarlo come mai prima. Argomento che disturbava i potenti, quello! E qui vengono lucidamente messe in campo tutte le possibili variabili di interessi “alti” in casi simili.
Accanto al protagonista, due donne, giovani, belle, in gamba, si troveranno coinvolte nelle indagini e nella sua vita. Ma poco è concesso al lettore conoscerne i pensieri e le emozioni, poiché il punto di vista è soprattutto maschile e maschilista. E non c’è da stupirsene, in un mondo di uomini, in cui persino la figliolanza, se femmina, è considerata di scarso valore e motivo di rancore verso i santi, insensibili ad offerte e preghiere. (Curioso questo rapporto col “divino”, con la chiesa, coi santi; un rispetto “umanizzato”, quasi un dialogo disincantato, con qualcuno a cui credi, ma che spesso ti delude!) E l’autore, che ben conosce l’animo umano e il modo di pensare di uomini retrogradi e ottusi, non può che riportarne i pensieri, spesso negativi e sospettosi nei riguardi del gentil sesso. Pensieri e considerazioni che tornano, spesso, nei discorsi al circolo di società, dove la borghesia decadente offre degna mostra di sé, nel commentare i fatti del paese, senza pietà per nessuno, in un immobilismo sconvolgente.
Degne di nota sono le conversazioni fra i detenuti, spaccati di vita a molti sconosciuta, il cui linguaggio pieno di allusioni, giri di parole e doppi sensi, è un vero capolavoro.
Così come fantastici sono i colloqui fra don Mico e Lenzi, durante i quali ogni parola, ogni silenzio, ha il suo importante significato; il lettore segue con attenzione, non tralascia una virgola, per non perdere il bandolo della matassa che, come una parabola, lo condurrà alla rivelazione.