Il mestiere di vivere
- Autore: Cesare Pavese
- Casa editrice: Einaudi
Il mestiere di vivere contiene il diario di Cesare Pavese iniziato nel 1935 quando era confinato a Brancaleone Calabro e finito nel 1950, anno del suo suicidio. Un diario disperato, vitale, letterario, amoroso, che forse Cesare Pavese non avrebbe pubblicato: troppo di sé, dei suoi problemi intimi, troppa disperazione, ma anche problemi religiosi, di letteratura, di etimologia. Una cosa privata, insomma. Massimo Mila e Natalia Ginzburg, nel 1952, ritengono che vada pubblicato perché di sommo interesse, di parole che non dovevano restare nascoste. Un piccolo capolavoro. Pavese aveva una cultura formidabile, suoi amori erano i grandi classici latini e greci, le parole della poesia e le parole dei romanzi, così differenti.
Era ossessionato dal significato delle parole:
"Il poetare è una ferita sempre aperta, donde si sfoga la buona salute del corpo".
Poi c’erano i problemi amorosi: Pavese non era bello, non era un entusiasta, non conosceva arti seduttive. Aveva il fascino dell’intellettuale, un po’ come Leopardi, e infatti questo è uno Zibaldone meno lungo.
Scrittura cruda ridotta all’osso. Pavese era anche misogino per problemi che trovate nel diario. Ritroviamo poi la sua crudele visione della vita:
"Ma la grande, la tremenda verità è questa: soffrire non serve a niente"
"C’è un’arte di ricevere in faccia le sferzate del dolore che bisogna imparare. Lasciare che ogni singolo assalto si esaurisca; un dolore fa sempre singoli assalti - lo fa per mordere più risoluto e concentrato. E tu, mentre ha i denti piantati in un punto e inietta qui il suo acido, ricordati di mostrargli un altro punto e fartici mordere - solleverai il primo. Un vero dolore è fatto di molti pensieri; ora, di pensieri se ne pensa uno solo alla volta; sappiti barcamenare tra i molti, e riposerai successivamente i settori indolenziti".
Pavese non è mai contento di quello che scrive, di come vive, di quello che ha. La sua solitudine è infinita, nonostante avesse amici meravigliosi e sempre propensi a rendergli la vita meno orribile.
In un hotel il 26 agosto 1950 lo scrittore mette fine a tutto uccidendosi. Aveva scritto pochi giorni prima nel diario:
"Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più".
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