Il padre e lo straniero di Giancarlo De Cataldo

La forza de "Il padre e lo straniero" di Giancarlo de Cataldo è riposta nella capacità di affrontare con disarmante limpidità temi forti e coinvolgenti, mentre il suo limite è nel finale “cinematografico” ad effetto, che tradisce in parte le aspettative del lettore, inevitabilmente coinvolto in una vicenda così densa tematicamente ma altrettanto chiara e scorrevole stilisticamente. Le figure dominanti sono maschili – Diego e Walid - e il tema centrale è quello della paternità, una paternità sofferta, che ha a che fare con gravi forme di disabilità. Attorno a questo tema ne ruotano altri come l’amicizia, l’accettazione di altre culture e scelte di vita, l’apparente banalità del quotidiano, le incomprensioni e i silenzi della vita di coppia, la morte e, non ultimo, il senso della vita.

In 142 pagine, Giancarlo De Cataldo scava nei sentimenti, nelle paure, nelle aspettative e nelle delusioni di due uomini e di due padri molto diversi per origine, cultura, condotta di vita, che devono, nelle miserie e nei limiti della loro umanità, accettare non solo dei figli gravemente ammalati ma anche trovare la forza per dare un senso a tutto ciò che li circonda. Due esistenze molto diverse tra loro trovano, però, un punto d’incontro proprio nella condivisione della comune sofferenza, tanto che Walid segnerà per sempre la vita di Diego e, indirettamente, di suo figlio Giacomo, ponendosi, col suo fascino orientale, con la straordinaria capacità di capire i sentimenti altrui e l’essenziale profondità del suo modo di esprimersi, come un irrinunciabile punto di riferimento per Diego. Questi, a sua volta, sarà considerato l’unico e vero “amico” da Walid, con tutto il peso che un simile termine ha nella sua cultura. Il modo in cui la vicenda si conclude crea un po’ di attrito con tutto ciò che una lettura del genere offre, ma se questo è l’unico limite del romanzo, non vi sono altri pretesti per non leggerlo.