Il poeta in piazza
- Autore: Ignazio Buttitta
- Categoria: Poesia
- Casa editrice: Feltrinelli
Dopo due anni dall’assegnazione del Premio Viareggio - nel 1972 - per la silloge “Io faccio il poeta”, la casa editrice Feltrinelli pubblica di Ignazio Buttitta “Il poeta in piazza”: raccolta che, per certi aspetti, potrebbe dirsi una dichiarazione d’intenti d’una poetica da condividere in luoghi collettivi d’incontro.
Chiara la fisionomia prevalente: vi è la presenza dell’uomo della resistenza contro il regime nazi-fascista, nonché l’uomo-poeta che si schiera contro la mafia. I componimenti sono preceduti da un lungo prologo in versi, scritto dallo stesso autore con l’intento di offrire chiarimenti sulla struttura della raccolta, suddivisa in cinque sezioni. Chiudono il libro frammenti valutativi sulla sua poesia dati da Giuseppe Cocchiara, Concetto Marchesi, Ilo De Franceschi, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia, Carlo Levi.
Il titolo della prima parte, Il tempo lungo, trovato da Leonardo Sciascia, fu condiviso dall’autore. Tante le cose che Ignazio Buttitta ricorda e tante le domande. Il suo è un monologo accorato: egli raccoglie disincanti e ricorda Majakovskij quando a Mosca, attraversando la lunga via Gorkij, ne scorge la statua:
“Dammi l’anima, gli dissi, / non la pistola; / buttala, / non voglio uccidermi / per essere adorato poi”.
Poco prima era stato in casa di una vedova russa, il cui marito, medico e comunista, era stato fucilato dagli stalinisti. Lui e lei avevano bevuto insieme:
“La vodka e il vino sono traditori: / sciolgono le parole, / scarcerano il cuore, / fanno dire la verità”.
Erano le verità dei “campi di concentramento”, dei “morti ammazzati”, degli ideali traditi. Con Majakovskij Ignazio Buttitta si sfoga come un orfano che piange il padre:
“Non ho mai pianto / come quella notte: / non c’erano bandiere / dove asciugare gli occhi”.
L’epilogo è un lascito testamentario:
“... E lascio la vita cantando; / e voglio che chi mi conosce / possa dire: «Fu contadino e medico Ignazio, / strappava spine e piantava rose, / tagliava il male e sanava ferite». Possa dire: / «fu poeta e marinaio, / navigava in acque inquinate / ma nel suo pezzo di mare / pescava pesci vivi».
Leggiamo i versi della poesia U tempu longu, dove ardono desideri. Ignazio Buttitta a settant’anni e oltre ha lo sguardo rivolto alla rinascita e vede davanti a sé strade senza confini e l’azzurrità del cielo malgrado la guerra di popoli ovunque sia presente. A ottant’anni e oltre, pur non essendoci stati cambiamenti, scorge ancora la luce che gli illumina lo sguardo:
“Stamattina addivintavi omu” (“stamattina sono diventato un uomo”).
Qualche minuscolo frammento ora della lirica U poeta nta chiazza. Per lui U pueta ha un discorso da leggere: immagina perciò di essere in una piazza e di parlare alla folla. La voce è dirompente; egli si pone come messaggero di verità contro “i nganna-populo” (gli inganna-popolo): quelli che vogliono il voto e il potere eterno. Da un lato, la cultura padronale è un falso vangelo (vancèlu fausu); dall’altro, del tutto opposto al primo, quella autentica sottrae all’alienazione: a diffonderla è la voce del poeta popolare che vigorosamente annuncia il suo arrivo:
“Braccianti /cumpagni / òmini e fimmini, arrivò u pueta; vi purtavu a virità nte chianti di manu / pigghiativilla” (“Braccianti / compagni / uomini e donne, è arrivato il poeta; vi porto la verità sul palmo della mano, / prendetela”).
Egli è l’apostolo della libertà, il cantore omerico, che pure fa riferimento al Cristo povero, sincero e malvisto. Egli si pone come l’educatore del popolo. Vogliono uomini ignoranti e con le teste vuote, i padroni; hanno bisogno di coloro che non pensano e che non comprano mai un quaderno. Ecco allora il senso dell’istruzione come mezzo di emancipazione e di liberazione dall’asservimento mentale e materiale:
“Un omu acquista meritu / e cancia sorti e distinu / si sfascia ’a porta d’a menti / e ci trasi u suli / s’asciuca l’ùmitu da gnuranza” (“Un uomo acquista merito / e cambia sorte e destino / se sfascia la porta della mente / e vi entra il sole / s’asciuga l’umidità dell’ignoranza”).
Motivo, questo, che torna insistente nella lirica U pueta e a puisia, dove la parola è tensione in virtù del potere magico e trasformativo che essa possiede.
Il poeta in piazza. Prima edizione.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il poeta in piazza
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