La peddi nova
- Autore: Ignazio Buttitta
- Categoria: Poesia
- Casa editrice: Sellerio
- Anno di pubblicazione: 2013
Ignazio Buttitta, aedo della fraternità, non utilizza il vernacolo e nemmeno il dialetto della tradizione letteraria, ma apre i suoi moduli espressivi a una sorta di Koinè che raccoglie termini e modi di dire provenienti da diverse parti della Sicilia. È così che rende fluidi e comprensibili i suoi versi, adoperando vocaboli più diffusi con la piacevolezza di coniare anche neologismi. È agli inizi degli anni Sessanta che comincia la sua collaborazione con la casa editrice Feltrinelli; incoraggiato da Pasolini, a cui si deve il titolo della raccolta, pubblica “La peddi nova” (1963), le cui composizioni attestano una fervida operatività dal 1930 al 1945. Difatti, al poeta friulano dedica la lirica che intitola la silloge.
Sicura è ormai la sua maturità espressiva in un’ampia varietà di soggetti e di argomenti. Carlo Levi ne scrisse la prefazione e Leonardo Sciascia recensì il libro sul giornale L’Ora di Palermo. La raccolta può ora essere letta nella ristampa del 2013 (Sellerio, Palermo). Natale Tedesco, nella pregevole monografia “Ignazio Buttitta e il mondo popolare siciliano” (Flaccovio Editore, Palermo, 1965), ricorda in un primo momento due poesie: Amu lu silenziu e Sariddu lu Bassanu (A Paliddu lu bascianu fu il titolo della prima stesura del 1939, firmato con lo pseudomino Trinacria per il timore di qualche rappresaglia). Componimento scherzoso quest’ultimo che a mo’ di farsa racconta la storia di un eroe di cartapesta, ottuso e arrogante: “fascista e ’talianu”. Partito per la guerra di Spagna, ritorna a Bagheria con una “lasagna” di medaglie sul petto: la sua sporca vita ormai nessuno la ricorda. Di "Amu lu silenziu", il citato studioso riporta questo brano, dove il poeta mostra un atteggiamento di sognante abbandono lirico:
“Amu lu silenziu / chi mi fascia lu senziu / e duci s’abbannuna / supra di mia / c’un suspiru di puisia; / amu lu silenziu / chi mi grapi li vrazza / e m’incupuna / sutta scialli di rasu, / sutta veli e giumma / e mi porta luntanu / supra pinni di palumma” (Amo il silenzio / che mi fascia i sensi / e dolce si abbandona su di me / con un sospiro di poesia; / amo il silenzio / che mi apre le braccia / e mi copre / di scialli di raso, / di veli e di nappa / e mi porta lontano / sopra piume di colomba).
“Virili” sono le visioni delle composizioni dal chiaro intento ideologico o messianico che hanno il volto della pietas; prevalente nella lirica che intitola la silloge, dedicata appunto a Pasolini, è la scoperta della storia collettiva. Il poeta vorrebbe essere un granello di sabbia nella sabbia della spiaggia, un pesce nella rete con gli altri impegnati a sfondare la gabbia che li rinchiude. È questa la dichiarazione della nuova poesia, come del resto si legge nel saggio introduttivo alla ristampa:
“Ora... il poeta... ha il volto velato dai pensieri. Ha uno sguardo più universale e sgomento (...). Gli ‘omini tutti’ vanno verso l’orizzonte, su una barca di paglia. Il poeta è uno spettatore lontano piantato nell’impotenza. Le vicende ordinarie della vita sono varie, nel villaggio-mondo percorso con gravità di passi (...). Ci si può imbattere nel dolore delle madri o in situazioni che richiedono i graffi e le lacerazioni della satira”.
Ladro è il poeta che minuziosamente scruta il comportamento di ogni persona per affondare le mani nel cuore di ciascuno. Vuole spremerne i lamenti e mescolarli con la fantasia. È il mestiere del poeta che succhia pensieri per comprendere il destino dell’uomo insieme al suo. In Pueta e latru l’autobiografia si fa collettiva entro la ricerca della verità sociale, mentre con insistenza si fa strada il motivo della vittoriniana coscienza offesa. Ignazio Buttitta vuole spezzare le catene della solitudine, vivendo la comunità coi suoi versi da lui declamati nelle piazze con la sua inseparable birritta. L’identikit è quello del poeta-viandante che, sgomento e impotente, va in giro per indagare e orientare al valore della cultura per sconfiggere l’impostura dei potenti. Non a caso, nella lirica Vui li ’mputati si legge che gli analfabeti sono stanchi di patire e di chiedere invano.
In sintesi, i versi di “La peddi nova” sono di un’elevata pedagogia della liberazione, favolosa e concreta nella resa dell’insieme.
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