Lu trenu di lu suli
- Autore: Ignazio Buttitta
- Categoria: Poesia
Nel 1963, a Milano per conto delle Edizioni Avanti, esce la raccolta “Lu trenu di lu suli” con la prefazione di Roberto Leydi. Vi si trova la ristampa del “Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali” con alcune varianti riguardanti la punteggiatura, la grafia, la fonetica e il lessico e comprende anche il poemetto La vera storia di Salvatore Giuliano con l’introduzione di Leonardo Sciacia; priva di una nuova prefazione, poi riedita a Palermo nel 1977 per i tipi della casa editrice Sellerio.
A cantare nelle piazze le imprese di Salvatore Giuliano era anche noto il cantastorie Ciccio Busacca, legato da una feconda amicizia a Ignazio Buttitta. Travolgente era la sua forza espressiva! Siamo nel fenomeno del banditismo siciliano affermatosi fra gli anni Quaranta e Cinquanta. Era chiamato “re di Montelepre” il bandito Giuliano che, nell’immaginario popolare, rubava ai ricchi per donare ai poveri come un novello Robin Hood. Lo nascondevano i suoi monti e a Portella della Ginestra, assoldato dagli agrari, si dice che abbia compiuto l’eccidio più infame, sparando con i gregari a uomini e donne. Erano innocui: ballavano e cantavano in aperta campagna per festeggiare il primo maggio del 1947. Undici i contadini uccisi, tra cui una donna incinta e tre bambine. A ricordarli, ora, sono undici dolmen, ciascuno di essi ha un nome e un cognome. Quale la storia vera sulla base delle ricerche storiche?
L’interrogativo inquieta e le risposte sono discordanti. La fine di Giuliano è nota: fu trovato assassinato in un cortile di Castelvetrano la mattina del 5 luglio 1950. Moriva miserevolmente con lui un mito, una leggenda sporca di sangue. Nell’Introduzione polemica al testo, che si caratterizza per l’uso della rima e del ritmo, del metro e della divisione in episodi, Leonardo Sciascia, pur constatando che il Giuliano di Ignazio Buttitta non è del tutto sottratto al mito, scrive:
“Buttitta ha la coscienza civile netta, netto giudizio morale e politico: e dice vera la storia di Giuliano in funzione della coscienza, del giudizio”.
Egli, a differenza dei cantastorie che esaltavano l’antica rivolta dell’individuo contro la società e la vendetta sociale per soddisfare il “sentimento della piazza”, dice la sua fuori di ogni schema emozionale voluto dal grande pubblico. A lui interessano sono gli ideali civili: infatti, incita al riscatto come presa di coscienza delle malefatte volute dalla mafia
“Siciliani, gridammucci basta! // a cu lu passu avanti nni cuntrasta!”.
Giuliano, scrive Ignazio Buttitta, è figlio della casta dei mafiosi che, offendendo i sentimenti, considerano la gente come animali messi all’asta
“dicu ca lu briganti Giulianu / fici lu jocu chi fa lu pallinu / ca di na manu passa a n’autra manu”.
Vale a dire che restò vittima di un gioco più grande di lui fino a sparare con la sua banda sulla folla fesante:
“Di lu munti la Pizzuta / ch’è rimpettu di lu chianu / spara supra di la fudda / cu la banna, Giulianu”.
Facendo leva sull’orgoglio dell’appartenenza, con forza il nostro poeta afferma che la Sicilia non è terra di ladri e neanche di briganti e d’assassini:
“pritinnemmu di essiri patruna / d’aviri nmanu li nostri distini”.
A fondamento delle strofe sta una sdegnosa distanza, intrisa di ironia, dall’impostura mitica costruita attorno al giovane bandito, forse inconsapevole strumento dell’intreccio mafia-politica, teso a contrastare la riforma agraria. Gli agguati cessano con la sua morte; si cambia pagina e bisogna pensare ai vivi. Sciascia ha insistito sul fatto che Ignazio Buttitta utilizza “storie” con suggestiva forza poetica per veicolare vigorosi messaggi di rinascita sociale. Egli è poeta combattivo; la sua arma è la poesia ed egli sceglie, a mio parere, la verità letteraria anche se il dibattito storico sulla presenza o meno di Giuliano a Portella non si è del tutto concluso. Di ciò, in fondo, era cosciente, tant’è che l’esordio del poema è affidato alla pluralità di voci contrastanti sul conto di Giuliano.
In fondo, la sua è stata una verità letteraria e ideologica. Quella della giustizia e della libertà. Erano anni in cui contadini e braccianti prendevano d’assalto il treno del sole, quello delle valigie di cartone: esemplare lo zolfataro di Mazzarino, la cui storia li abbraccia tutti e fa toccare con mano il terribile quadro sociale degli anni Sessanta, specie in Sicilia.
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