Il primo gradino e altri scritti
- Autore: Lev Nikolaevič Tolstoj
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Straniera
“Il primo gradino” è stato scritto da Lev Tolstoj nel 1891 come introduzione alla edizione russa del volume di Howard Williams The ethics of Diet.
Come sempre, il celebre scrittore riesce, con poche e semplici parole, a parlarci di filosofia, di etica, di morale e ci invita ad essere o a diventare uomini migliori al fine di realizzare quel bene che egli auspicava poter cogliere nell’umanità.
«Che cosa voglio dimostrare», si domanda l’autore, con questo volume?
Che gli uomini, per diventare buoni, devo smettere di mangiare carne? Certamente no. Egli afferma, soltanto, come, per condurre una vita morale, sia indispensabile acquisire progressivamente delle qualità necessarie. E se l’uomo cerca seriamente e sinceramente di progredire verso il bene la prima cosa di cui si priverà sarà l’alimentazione carnea.
Il progresso verso un tipo di alimentazione più consapevole deve rallegrare, sempre a detta del narratore, coloro che cercano di realizzare il Regno di Dio in terra; la prova che il cammino dell’umanità, verso la perfezione morale, sta procedendo in modo serio ed autentico.
Perchè Tolstoj parla di un “primo gradino”?
“Così non si può pensare di voler cuocere sul serio il pane, se prima non si è impastata la farina e scaldato il forno. Allo stesso modo non si può credere di poter arrivare a condurre una vita morale, se non si rispetta un ben preciso ordine nel l’acquisizione progressiva delle virtù necessarie”.
Prima di votarsi all’amore, alla generosità, al disinteresse o alla giustizia, è necessario che l’uomo impari a vincere se stesso e le proprie passioni.
“Invece noi riteniamo tutto ciò inutile, siamo convinti che l’uomo può condurre un’esistenza strettamente morale, anche se si abbandona alle sue inclinazioni per i piaceri o per il lusso, fino a quel grado estremo a cui si è giunti in questo nostro mondo”.
Gli uomini del nostro tempo, sostiene Lev Tolstoj, per difendere le proprie abitudini, trovano ogni sorta di argomenti, tranne quello che si presenta spontaneamente a tutte le persone semplici.
Lo scopo principale degli uomini è la voracità, la soddisfazione del palato ad ogni costo?
Tolstoj decide, nonostante la ripugnanza che sentiva avrebbe provato, perché è quello che si prova quando si sa di dover assistere ad una sofferenza che certamente avrà luogo, di far visita ad un macello per constatare de visu il nocciolo del problema dell’alimentazione vegetariana.
Prima di allora, dal momento che rimandava l’avvenimento, ha occasione di parlare con alcuni macellai.
“...egli pure fu stupito dalla mia osservazione che è male uccidere. Anche lui rispose che è un’abitudine inevitabile, ma finalmente convenne che è male e aggiunse: «soprattutto quando la bestia è docile, addomesticata, come si avvicina poveretta, tutta fiduciosa. È una gran pena».
È orribile! Orribile, non solo la sofferenza e la morte di questi animali, ma il fatto che l’uomo, senza alcuna necessità, fa tacere in sé il sentimento di simpatia e di compassione verso gli altri essere viventi e diviene crudele, facendo violenza a se stesso”
.
Quello che appare agli occhi dell’autore di alcuni fra i più grandi capolavori della letteratura, è uno spettacolo atroce.
“appena il sangue cessò di sgorgare, il macellaio sollevò la testa alla bestia e si mise a scorticarla, l’animale si dibatteva ancora (...) ogni volta che prendevano un bue dal cortile e lo trascinavano (...) il bue, sentendo l’odore di sangue, muggiva, s’inarcava e indietreggiava (...) perciò prendeva il bue per la coda e la rigirava verso l’alto, spezzandone le cartilagini, allora l’animale avanzava”.
Eppure, afferma Lev Tolstoj, la signora dal cuore tenero mangia questo cadavere con l’assoluta certezza del suo buon diritto, sostenendo due tesi contraddittorie: la prima, che lei è così delicata che non potrebbe sopportare un’alimentazione vegetariana, la seconda, in antitesi, che lei è così sensibile, che è incapace non solamente di far soffrire un animale, ma neppure di sopportare la vista delle sue sofferenze.
“Non si può far finta di ignorare tutto questo. Non siamo struzzi, né possiamo pensare che se noi non guardiamo quello, che ci rifiutiamo di vedere, non c’è. Soprattutto quando la cosa che non vogliamo vedere è ciò che stiamo mangiando”.
Possibile, si interroga Tolstoj, avere eliminato un sentimento come quello della compassione che è naturalmente in noi?
Un breve frammento che permette al lettore, non solo di godere di un brano che fa parte della pregievolissima ed inestimabile produzione tolstojana, ma anche di aiutarlo semplicemente, se riterrà e lo desidererà, a qualche riflessione.
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