L’altro
- Autore: Ryszard Kapuściński
- Genere: Letteratura di viaggio
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Feltrinelli
- Anno di pubblicazione: 2006
Ne L’altro (Feltrinelli, 2006; tradotto con sobrietà da Vera Verdiani), Ryszard Kapuściński spiega al lettore perché è essenziale accettare l’altro da noi, in caso contrario è la fine dell’umanità. Non fra mille anni, o poco più o poco meno, non è questo il punto: sono proprio necessari l’accettazione, il dialogo e la comprensione tra popoli da adesso, perché non c’è più tempo. La nostra non è più una società di massa, è una società planetaria. Non possono esserci vincitori o vinti, perché se passa l’idea che non possiamo convivere con altri popoli, che emigrano nei paesi europei o negli Stati Uniti, che tolleriamo gli altri senza conoscerli, perdiamo tutti.
Le previsioni catastrofiche, però, per questo scrittore di reportage, sono per i pessimisti e per cinici, che conoscono il mondo guardando la televisione, seduti in poltrona. L’ottimismo di Kapuściński anche di fronte a problemi enormi deriva dal suo essere profondamente cristiano, da una purezza di cuore non cancellata da tutti i viaggi fatti.
Kapuściński ha girato il modo, si è fermato mesi e mesi in Africa, non confinato in un resort ma vivendo con gli abitanti del posto, cercando di trovare un varco per riuscire a comunicare, perché l’inglese parlato resta ancora una barriera per le classi meno abbienti.
Lo scrittore ci ha lasciato con le parole multiculturalismo e inclusività: due parole che sono un inno di speranza in un mondo impazzito.
"Ho sempre visto il mondo come una grande torre di Babele. Ma una torre dove Dio ha mescolato non solo le lingue, ma anche culture e costumi, passioni e interessi, facendo del suo abitante una creatura ambivalente comprendente in sé l’io e il non io, sé stesso e l’altro, il simile e l’estraneo".
Non so se uno scrittore di reportage, oggi, riesca a inserire in un pezzo la parola "Dio" senza nessun retropensiero, ma soprattutto come uomo libero, non assoggettato a nessuna confessione religiosa.
Scomparso nel 2007, Kapuściński non ha visto il tracollo finanziario del 2007-2008, né le elezioni americane che videro la vittoria di Trump come Presidente degli Stati Uniti, che voleva costruire un muro per rallentare con la forza l’emigrazione dei messicani, degli ecuadoregni, popoli che Kapuściński amava e comprendeva, nella loro disperazione "economica", sognando di arrivare a New York, città dove in certe periferie si parla quasi esclusivamente lo spagnolo, per fare quei lavori che il maschio bianco non farebbe mai, come macellare ogni tipo di carne, spazzare il sangue e poi pulire quei "diner" dove puoi mangiare in qualsiasi orario, perché non chiudono mai. Lavori umili, sottopagati, senza assicurazione sanitaria. E non ha visto la pandemia da Covid-19, che ha aizzato non direttamente i nazionalismi, facendo aumentare l’insicurezza, come con la guerra tra Russia e Ucraina e con le fratture tra diverse etnie nell’Africa sub sahariana.
Per quanto riguarda, poi, la teoria dell’inclusione, la si usa molto in un contesto elettorale. Certo è che le persone, nella vita quotidiana, non si preoccupano di conoscere meglio una famiglia marocchina o una casa abitata da ragazzi cileni, che tramite l’Erasmus sono venuti nel nostro paese per studiare. Negli altri paesi europei non va meglio. Non solo per diffidenza, ma anche perché spaventati dal progressivo impoverimento dei ceti medi, che si chiudono a riccio e sperano almeno di cambiare quartiere. Dove ci sono troppi immigrati, finisce che si formano bande votate alla violenza. Lo scrittore polacco cita una sua testimonianza: ogni volta che lasciava un popolo africano, alcuni bambini sfregavano sulla sua pelle il dorso delle loro piccole mani per vedere se diventavano un po’ bianche.
L’altro è un libro prezioso di uno scrittore che non si fa vanto dei suoi successi letterari, anzi consiglia come suo maestro l’inarrivabile Bruce Chatwin.
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