Shah-in-shah
- Autore: Ryszard Kapuściński
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Feltrinelli
Quanto suona vuota e informe la domanda su quale autore leggere per capire tale o talaltro secolo, con lo sgambetto nella risposta sul definire un romanziere figlio del suo tempo, una scrittrice fulcro attivo dei suoi anni? Eppure, il reporter polacco Ryszard Kapuściński resta senza quasi possibilità di dubbio la lettura necessaria per comprendere e analizzare cosa sia stato il Novecento su tutto il globo terrestre, dalla disintegrazione dell’Unione Sovietica alle guerriglie del Sudamerica, passando per la decolonizzazione degli stati africani negli anni bui della loro indipendenza. Col connubio tra la sua scrittura precisa e la curiosità che lo ha spinto a percorrere tutti i continenti, le sue pagine costituiscono una spiegazione puntuale sui meccanismi di potere e popolo e sugli ingranaggi dei maggiori eventi storici degli ultimi cento anni, senza mai perdere di vista l’importanza tutta antropologica dell’osservazione partecipante sull’altro.
Di tutti i suoi libri, editi in Italia da Feltrinelli e raccolti nel meritatissimo Meridiano Mondadori, Shah-in-shah (trad. di V. Verdiani) è quello più magistrale ed esemplare. Pubblicato in Polonia nel 1982, il testo descrive la parentesi di potere dell’ultimo scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi, raccontando con minuzia le assurdità pericolose e sanguinarie del suo sogno d’occidentalizzazione, e si chiude alle soglie della rivoluzione islamica capeggiata dalla veste nera e lo sguardo penetrante di Khomeini.
Osservare la Persia dagli anni Cinquanta alle soglie degli Ottanta permette a Kapuściński di penetrare fra i meandri, i sogni e gli smottamenti del medioriente e più in generale dei paesi del terzo mondo, mettendo su carta le dinamiche che il ritardo e l’osservazione dell’agognato e superiore occidente causano. L’ascesa e la complementare discesa rovinosa dello scià non sono infatti una semplice parabola del potere tirannico; la sua maniacalità di grandezza, il suo sogno di portare la Persia fra le nazioni più importanti del mondo, obnubilato e totalmente illuso dai fumi della ricchezza, sono la tragica concretizzazione del desiderio di rivalsa e di superamento di una menomazione secolare vissuta tutt’oggi da numerosi popoli e Stati.
Alla base di tutto c’è il petrolio, il maledetto liquido nero che porta improvvisamente interi territori all’attenzione globale, marchiandoli di un putrescente destino. Come accadde e continua a succedere in altre parti del mondo (qui la lettura de Le vene aperte dell’America Latina di Galeano s’impone come necessario confronto e completamento), lo scià crede infatti che le quantità inqualificabili di denaro ricavate dall’estrazione dell’oro nero possano ribaltare a una velocità vertiginosa il corso della Storia e si autoimpone come promotore di questo cambiamento. Gli esiti sono grotteschi: il confondersi da pedina nelle mani delle potenze europee a protagonista indiscusso delle sorti del mondo futuro, l’utilizzo di una temibile polizia segreta, la SAVAK, e la costruzione di un’oasi di sfarzo tutto intorno a sé, come un sovrano francese fra le gallerie di specchi della sua Versailles, aprono infatti ferite insaturabili nella popolazione, con il pus di malcontento e ribellione che causerà l’esilio e la caduta dello scià.
Pahlavin è un personaggio a tratti romanzesco, che, incurante e insensibile di fronte alla realtà, si comporta da bambino viziato, acquistando inutili carri armati per sedare il suo gusto nei confronti dell’esercito, e celebra l’illimitatezza del suo falso potere in un costante circo di viaggi e celebrazioni.
La necessità del testo di Kapuściński risiede però anche in un altro aspetto, ovvero la modalità di indagine. Shah-in-shah è anzitutto la summa dell’arte del reportage e analizzarlo nella sua struttura significa tracciare una preziosa lezione di scrittura e di ricerca.
Il libro è diviso in due parti, fortemente differenti. Se nelle prime pagine l’autore si mostra seduto nella sua stanza di un hotel di Teheran, affastellata di fogli e appunti che lo confondono e quasi scoraggiano, la prima sezione dell’opera (“Dagherrotipi”) è proprio il mosaico costruito con i tasselli di queste testimonianze, che variano dalle foto alle trascrizioni di conversazioni fatte con gente comune e che Kapuściński ricolloca e tesse, cercando di trovare e mostrare le catene di cause ed effetti con un continuo slittamento del punto di osservazione.
Nella seconda parte (“La fiamma morta”) è invece la voce dell’autore a plasmare un flusso continuo e molto equilibrato di spiegazioni e si percepisce forte l’impressione di scorrere lungo le pagine di un testo dell’Illuminismo. Il respiro della scrittura infatti travalica i confini e i limiti della realtà iraniana e ne viene fuori un piccolo saggio sulla rivoluzione, condotto con schematicità e lentezza, quasi un trattato universale dei moti rivoluzionari che ha nella Persia solo il punto di partenza, l’esempio rivelatore. Distinzioni, classificazioni, definizioni svelano così pian piano i movimenti e le danze del potere, riscontrabili a latitudini e decenni differenti sulla linea della storia umana.
Per questa compresenza di focus necessario su una pagina centrale della Storia e altrettanto necessario svelamento delle più alte pratiche della scrittura, Shah-in-shah si impone già come classico o, perlomeno, svetta come volume da leggere e far leggere, da riporre in quello scaffale che si osserva ringraziandolo per la nitidezza che ha portato ai nostri occhi sul mondo.
Shah-in-Shah
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