L’immortalità
- Autore: Milan Kundera
- Casa editrice: Adelphi
Fra le opere di Milan Kundera va ricordato il libro “L’immortalità”. Denso di pensieri profondi ma, soprattutto, particolari, intensi, degni della mente di uno dei più grandi scrittori viventi, il romanzo inizia con il semplice saluto di una donna sessantenne al proprio insegnante di nuoto. In quella signora dai tratti non più giovanili, i gesti scaturiti da un bagno, oltre che nell’acqua, in quell’esperienza piacevole, il nuoto, che di solito si sperimenta, le prime volte, quando si è bambini o ragazzi, le conferiscono eleganza, leggerezza incantevole. Lei torna ad avere vent’anni perché, come dice Kundera:
“... con una certa parte del nostro essere viviamo tutti fuori dal tempo”.
Osservando la donna, lo scrittore dà vita ad Agnes, personaggio immaginario e figura principale del libro. Donna concreta, lei all’immortalità non pensa, ma non è neppure, però, particolarmente toccata dalla realtà terrena e, a tratti, pare infastidita dal mondo che la circonda che è troppo chiassoso e superficiale.
Il secondo capitolo è anche quello che dà il titolo al libro ”L’immortalità”. Vi spiccano personaggi illustri, Goethe, in particolare, che nell’aldilà incontra un Hemingway che con il mondo terreno ha ancora a che fare poiché, dopo la sua morte, ancora recente, molto si è scritto e commentato circa la sua vita. Cosa hanno i due personaggi in comune fra loro? Sono passati dalla morte all’immortalità da cui non ci si può più sottrarre.
“Un uomo può togliersi la vita ma non può togliersi l’immortalità. Non appena l’immortalità ti ha fatto salire a bordo non puoi più scendere”.
A questi capitoli ne fanno seguito altri con le ulteriori vicende di Agnes e della sorella Laura, unite ma diverse. Attraverso la simbologia delle loro vicende, lo scrittore parla per mezzo di metafore d’amore, del rapporto con il corpo, con l’eros, ma, soprattutto, di immortalità che vuol dire
“... mi rifiuto di morire con il presente e i suoi guai, voglio superare me stessa, essere parte della storia, perché la storia è memoria eterna”.
Come il romanzo inizia, allo stesso modo termina: siamo in una piscina, il tempo è passato e lì c’è lo stesso Kundera insieme ad altri personaggi del libro. Il cerchio si chiude attraverso pensieri e gesti significativi che hanno dato vita all’intera narrazione che, ancora una volta, ci mostra le grandi qualità dell’autore non solo nell’abilità espressiva ma anche nella trattazione di temi diversi ma indispensabili per esprimere il suo pensiero.
L’immortalità
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Questo mi manca, lo leggerò...adoro Kundera...
“In greco «ritorno» si dice nostos. Algos significa «sofferenza». La nostalgia è dunque la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare”. È di questo che parla Milan Kundera ne L’ignoranza. Di un ritorno in patria, di un ritorno in un posto lontano, di un ritorno in una città, Praga, che, molti anni prima, chiamava casa. Mentre si legge il magnifico libro dello scrittore cecoslovacco non si può smettere di pensare alla storia dell’autore. Anche se Kundera mette in moto, in delle pagine che sembrano quasi sussurrate, quasi come se il narratore si vergognasse di quelle righe così vere, dei personaggi qualsiasi, che hanno poco da raccontare. Un uomo normale ed una donna normale, a tratti quasi noiosi, che camminano per Praga, la città che Kundera fu costretto a lasciare, con gl’occhi di due esuli che fanno ritorno (nostos) con sofferenza (algos) ad un mondo che non è più il loro, ad un modo di vivere che hanno deciso di ripudiare, a ricordi, quasi ridicoli, che non gli permettono di tornare in contatto con quello che erano prima. “Ora con questo interrogatorio, cercano di ricucire il suo remoto passato con il presente. Come se le amputassero l’avambraccio e fissassero la mano direttamente al gomito; come se le amputassero i polpacci e unissero i piedi alle ginocchia”. Questo è quello che prova uno dei due protagonisti, Irena non fa più parte di quella società, che, dopo la scomparsa del comunismo, ha deciso di dimenticare il proprio passato, cercando di tapparsi le orecchie, con vergogna ben nascosta, nella speranza di non ascoltare la verità. Kundera comunica questo, vuole gridare attraverso Gustaf e Irena, due persone straniere a casa propria, invasi da una lingua che ricordavano essere la loro, ma che risulta solo “monotona e sgradevolmente blasé", di una speranza inappagata, di una delusione cocente. Di due persone che, vivendo la nostalgia del ritorno, non possono fare altro che incontrarsi nella loro sofferenza, come un Ulisse che non riesce mai a trovare il porto della sua Itaca, come un Kundera che non riesce a ritrovare la sua amata Praga. Recensione di Andrea De Felice