La grande bellezza
- Autore: Paolo Sorrentino
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Skira
- Anno di pubblicazione: 2013
La grande bellezza (Skira, 2013) è un ‘non romanzo’, una sceneggiatura con la potenza contagiosa del romanzo scritta da Paolo Sorrentino e Umberto Contarello, così come accaduto per altri eccellenti testi, che dà midollo e struttura a una pellicola cinematografica che ha ottenuto numerosi riconoscimenti fino alla nomination come miglior film straniero agli Oscar 2014.
Chi ha visto il film omonimo sa già di cosa stiamo parlando:
- una regia geniale condotta da uno dei migliori registri contemporanei,
- l’interpretazione magistrale di un grande Tony Servillo,
- una serie di personaggi autentici e contraffatti al tempo stesso,
- una città dalla bellezza inaudita eppure decadente, niente di più attuale.
Errato cimentarsi in vani paragoni con il Maestro dei maestri, Federico Fellini, che raccontava una Roma diversa. I tempi cambiano, le prospettive anche. Una cosa che sembra invece ripetersi è il genio artistico italiano ad affascinare il mondo intero attraverso la settima arte, il cinema, forse ora qualità ancor più meritevole perché inserita in un contesto di vuoto creativo e pertanto emblema di rinascita.
Tornando alla sceneggiatura de "La grande bellezza", chi ha amato il film non può far a meno di leggerla. Un’infinità di sfumature psicologiche si colgono nei personaggi inventati sulla carta prima di essere incarnati da interpreti perfettamente calzanti, l’autenticità dei dialoghi, le visionarie scene vagheggiate prima ancora di diventare opulente immagini. A fare da fondale le notti sulle terrazze romane tradite dalla visione ironica e crepuscolare del re delle feste, colui che ha spento la propria creatività dentro una realtà artefatta andata man mano scadendo tra performance estreme e una cultura auto celebrativa.
Jep Gambardella, autore di un solo affermato romanzo scritto in età giovanile, compie 65 anni e come tributo a questa nuova maturità sviluppa l’audacia di osservarsi da fuori prendendosi gioco innanzitutto di se stesso e affermare finalmente verità mai ammesse sul mondo al quale appartiene, il jet set italiano delle feste mondane nell’ostentazione di una fastosa ipocrisia, sempre più volgare. La sceneggiatura si dipana attraverso lucide visioni che prendono forma e colore, spazio e identità, dove la morte dei corpi e dello spirito avviene come la cosa più naturale al mondo.
Da ogni morte, però, c’è pur sempre una rinascita e Jep grazie a una crescente ironia approda a questa dolorosa rinascita con la consapevolezza di chi sa che dopo tutto la vita è un gioco, allora basta giocare.
Si tiene tra le mani, questo piccolo volume, e se si apre più volte a caso ci si stupisce di quanta poesia alberghi in ogni riga. Una poesia amara che attraverso una contagiosa ironia svela miserevoli scenari a svuotare di gloria un mondo già inglorioso.
C’è morte, sì, e amara consapevolezza ma c’è anche amore nelle sue forme più pure. Un amore innato che abita nei gesti dei personaggi minori, nelle loro poche parole, offerto attraverso la genuina nobiltà di chi è autentico perché semplicemente se stesso. Infine, c’è la sublime cognizione che in una città millenaria come Roma tutto può accadere senza che se ne scalfisca la bellezza, perché le stonature umane sono solo di passaggio.
Ai posteri l’ardua sentenza.
La grande bellezza
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