La morte di Ivan Il’ic
- Autore: Lev Nikolaevič Tolstoj
- Categoria: Narrativa Straniera
Pubblicata per la prima volta nel 1886, "La morte di Ivan Il’ic " è una delle opere più importanti del nostro autore in quanto
scritta dopo il superamento di una profonda crisi spirituale che lo portò ad aprirsi al Cristianesimo.
A dispetto del titolo, questo straordinario racconto è un vero e proprio inno alla vita. Inizia in un
ufficio del tribunale di San Pietroburgo con l’annuncio della morte di Ivan Il’ič, allo scopo di fornire
al lettore gli elementi per delineare immediatamente il tipo d’ambiente e le frequentazioni del
defunto. Ciò che viene evidenziato infatti è che a seguito della notizia la prima preoccupazione
dei colleghi và al posto vacante e alla possibilità di ottenere una promozione; i sui amici più intimi
Petr Ivànovic e Fedor Vasil’evic sono angosciati per il fatto che avrebbero dovuto “adempiere
ai noiosi doveri che imponevano le convenienze”; il giorno della visita alla salma vi era persino
chi pensava che il triste avvenimento non avrebbe comunque impedito che si giocasse al whist
quella sera stessa. D’altronde tutta la vita di Ivan Il’ič, come si evincerà dall’analessi che segue,
è incentrata sulla sua inconsapevolezza. Egli in realtà non ha mai vissuto, non ha mai trovato la
forza di accorgersi della sua vita perché ciò lo avrebbe messo immediatamente in contrasto con
quell’esistenza ordinaria, “tranquilla e decorosa” che aveva deciso di condurre. Eppure egli è
un uomo colto, un giudice, un uomo chiamato a distinguere il bene dal male! Invece quello che è
diventato e il lavoro stesso, non sono altro che un mezzo per godere delle frivole piacevolezze della
vita. E proprio quando tutto sembra essere piacevolmente ordinario, Ivan Il’ič si ammala. Da qui
parte una lenta e straziante metamorfosi della sua coscienza nella quale egli si scontrerà proprio con
quell’inconsapevolezza, ponendosi interrogativi ai quali inizialmente non saprà dare una risposta.
Fino a quando ad un certo punto, mentre viene divorato da dolori sempre più atroci, allo stremo
delle forze, si accorge che il figlio è accanto a lui, in lacrime, che gli tiene la mano. In quegli ultimi
momenti di vita, tra le tenebre dei suoi perché, egli improvvisamente trova la luce: la morte gli
sembra meno brutta, anzi comprende che la morte per lui finiva proprio in quel momento. Un finale
toccante, scritto magistralmente che rende questa opera anche un’occasione per riflettere sull’uomo
dei nostri tempi, senz’altro uno dei più bei racconti della storia della letteratura.
Recensione a cura di Alessandro Trimboli
Bellissimo racconto dai significati profondi pubblicato nel 1886.
Ivan Il’ic è un giudice istruttore di una piccola provincia russa che durante la sua carriera professionale viene trasferito a San Pietroburgo. Inizia così per l’uomo un’ascesa sociale nella quale il suo massimo impegno sarà riservato alla costruzione artefatta della propria vita. La sua nuova casa in città, infatti, verrà arredata secondo i dogmi dell’alta borghesia, stato al quale il giudice e sua moglie aspirano appartenere come presupposto ideale di felicità e giustezza. Proprio durante questa edificazione scrupolosa della propria casa – che metaforicamente si riferisce alla sua esistenza tutta, spaziando dalla professione agli affetti - Ivan cade da una sedia e quello che sembra essere un banale incidente domestico ben presto si trasformerà nella causa di un’assurda, inguaribile malattia. Durante gli ultimi tre mesi di vita il giudice prenderà man mano consapevolezza della vacuità dell’esistenza tenuta fino a quel momento. Un’esistenza ritenuta ‘giusta’ prima che la minaccia di una morte prematura ed imminente la smascherasse come menzognera ed artificiosa.
Infatti, i suoi rapporti sia affettivi che professionali, ben presto si riveleranno ipocriti e alimentati dall’odio e dalla rivalità. In famiglia la sofferenza della malattia sarà solo motivo di disagio e fastidio, mentre in tribunale rappresenterà l’opportunità per altri giudici di accedere al suo ambito posto.
Solo la spontanea predisposizione alla cura ed alla compassione di un umile servo, che allevierà i tormenti della sua malattia incurabile, sembra rappresentare l’unica consolazione umana che gli è concessa.
Insomma l’imminente epilogo della propria vita, infine, verrà percepito da Ivan come la fine della morte, metaforicamente riferita ad un’esistenza completamente sciupata. Una rivelazione dai connotati mistici conforterà l’anima dell’ancora giovane Ivan che, prima di congedarsi da questo mondo, cercherà di chiedere perdono a chi lo circonda, una richiesta di perdono estesa nei confronti del bene più prezioso che possiede l’uomo: la vita. Un perdono liberatorio che il moribondo concederà anche a se stesso, come premio per aver preso coscienza – anche se troppo tardi – dei propri errori.
Lo stile asciutto dell’autore e la sottile ironia nei confronti della società borghese russa di fine ottocento rendono il racconto scorrevole ed accattivante, nonostante la delicatezza dell’argomento trattato come la precarietà della vita ed il senso profondo della sofferenza, della malattia e della morte che altro non sono che l’ammonimento universale sul prezioso significato della vita stessa.
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