La pecora nera
- Autore: Israel Joshua Singer
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2015
“Da ben quarantotto anni, cioè dal giorno in cui ne ho compiuti due, ho davanti agli occhi un’immagine nitida, la prima che mi sia rimasta impressa nella memoria: un locale vasto e dall’alto soffitto, rischiarato da molte luci e gremito di gente”.
Il grande edificio illuminato era la sinagoga di Bilgoraj, “cittadina del distretto di Lublino, dove sono nato” nel 1893. Il nonno materno, “intelligente, dignitoso e taciturno” di Yehoshua era rabbino di questo villaggio immerso nella tradizione ebraica. L’altro ricordo della prima infanzia di Yehoshua era legato al giorno in cui il padre, a soli ventisette anni, era stato nominato rabbino di Leoncin, nel distretto di Varsavia. La famiglia si era trasferita in questo minuscolo villaggio che si trovava poco lontano dalla Vistola, dove le strade non erano lastricate e le case erano anguste con tetti coperti da tegole di legno su cui spesso “si posavano gli uccelli”. Il padre di Yehoshua, Pinchas Mendl Zinger, rabbino chassidico e autore di commentari rabbinici, era un “visionario” ma fervido credente che rifuggiva ogni responsabilità. Per questo e altri motivi il suocero, uomo pratico e con un forte senso del dovere non andava d’accordo con il genero. La madre Basheva Zylberman, personalità intellettuale “la Bibbia la conosceva letteralmente a memoria”, aveva imparato da sola l’ebraico. Basheva, a causa dei suoi interessi culturali, non aveva argomenti in comune con le altre donne del paese, di conseguenza soffriva la solitudine e la mancanza di relazioni. Per lei l’unica consolazione era immergersi nei suoi amati libri. I due coniugi, lui uomo “di cuore” e sognatore, lei “persona celebrale”, a causa dei loro differenti caratteri, non erano per niente in sintonia. Il bambino, per sfuggire dall’atmosfera cupa che regnava in casa, trascorreva il suo tempo libero giocando con i figli della gente semplice del popolo.
“Anelavo al gioco, alla libertà dei campi”.
Inoltre Yehoshua aveva subito preso in antipatia la scuola “non mi piacque mai”, ma questo non gli impediva di apprendere le lezioni e specialmente la Torah. In una vita regolata strettamente dai precetti in cui tutto sembrava essere fonte di peccato, il futuro grande scrittore percepiva la bellezza e l’armonia nella natura che lo circondava “Il mondo non era affatto vanità, ma bello e pieno di gioia”. Era d’estate che il vivace e sensibile monello “quando facevo qualcosa di poco consono per un bambino ebreo, la mamma mi chiamava come la pecora nera di Bilgoraj”, si scatenava quando andava con la madre e la sorella a trovare i nonni.
“Dalla prima occhiata, concepii per mio nonno un grande amore”.
Dopo le ristrettezze di Leoncin finalmente l’abbondanza e l’opulenza. I. J. Singer, fratello maggiore di undici anni del Premio Nobel Isaac Bashevis Singer (1904-1991) che lo definiva “il mio maestro”, morto a New York nel 1944 non seppe dell’immane tragedia subita dal suo popolo. Grazie all’autore polacco, impagabile cantore dello scomparso mondo yiddish, niente e nessuno potranno mai cancellare le pagine melodiose in cui, come in un palcoscenico, si muovono strani e curiosi personaggi.
La penna descrittiva dell’autore coglie ogni particolare di una cultura millenaria e di un universo variopinto ma sempre con occhio ironico. “La pecora nera”, uscito postumo nel 1946, doveva essere il primo volume della sua autobiografia, rimasta incompiuta.
“Reb Yair leggeva la Torah con una melodia così dolce e struggente che nelle sue parole si sentiva il gusto soave del latte e miele di cui era ricca la terra di Canaan donata da Dio a Israele”.
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