Metafora, metonimia, ossìmoro, strane parole che ognuno di noi ha incontrato a scuola ma che non tutti padroneggiano facilmente: si tratta delle figure retoriche, artifici del discorso che consentono di produrre un effetto particolare e ricercato nel testo.
Conoscere le principali figure retoriche, sapere quali sono e come si utilizzano, è utile non solo per gli studenti che ne sentono parlare per la prima volta e che sono chiamati ad affrontare l’analisi del testo letterario ma anche per il lettore che affrontata un testo, soprattutto poetico, dove proprio per la sua natura, è più facile incontrarle.
Le figure retoriche, però, si rivelano uno strumento importante anche per chi intraprende l’avventura della scrittura e decide di cimentarsi con un racconto oppure sceglie di imbastire una trama da un’idea narrativa.
Tre tipologie di figure retoriche
Prima di considerare quali sono le principali figure retoriche è opportuno fare qualche distinzione, esistono infatti:
- figure retoriche del suono (assonanza, consonanza, allitterazione, onomatopea, paronomàsia) = si tratta di espedienti stilistici che giocano sul suono delle parole e delle vocali e sono prodotte dall’accostamento di alcune parole, piuttosto che di altre;
- figure retoriche dell’ordine (anastrofe o inversione, anàfora, chiasmo, climax, enumerazione) = mirano a creare un effetto particolare intervenendo sulla struttura della frase e sull’ordine delle parole e riguardano la sintassi;
- figure retoriche del significato = in questo caso l’effetto è prodotto da un uso particolare e inconsueto del significato delle parole stesse ed è chiamato in causa soprattutto il lessico.
Le figure retoriche di significato più frequenti
È proprio il gruppo di figure retoriche del significato che raccoglie le figure retoriche principali che consideriamo di seguito.
Similitudine
Evidenzia un rapporto di somiglianza tra due azioni, due personaggi, due avvenimenti o due immagini; il collegamento è esplicitato grammaticalmente perché avviene attraverso un avverbio di paragone o una locuzione avverbiale collegate fra loro grammaticalmente da avverbi di paragone o locuzioni avverbiali (così, come, quale, quanto). Esempio:
Andrea corre veloce come una lepre
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Antitesi
È l’accostamento e, allo stesso tempo, la contrapposizione di due termini dal significato contrastante (dal greco “antìthesis” = “contrapposizione”).
Metafora
Il termine metafora, di origine greca (“trasferire”), indica una similitudine “condensata” dove il primo termine di paragone rimane sottinteso. In questa figura retorica si pone un’uguaglianza o una sostituzione di un termine con un altro, in base a una relazione di somiglianza. Esempio:
Andrea è una volpe
In questo caso esiste una una caratteristica o una qualità comune tra i due termini messi in relazione: l’astuzia che resta sottintesa nella frase il cui significato, se debitamente sciolto e chiarito sarebbe: “Andrea è astuto come una volpe”.
Allegoria
Con l’allegoria si costruisce un discorso dove i significati letterali dei singoli alludono, indicano, in realtà un significato di ordine differente e, per questo, passano in secondo ordine rispetto a tale significato (dal greco “allegoréin” = “parlare diversamente”). In genere il significato a cui il discorso e i termini utilizzati alludono è di ordine più elevato rispetto al significato letterale spesso rinvia a valori metafisici, filosofici e morali. In definitiva, quindi, nell’allegoria le nozioni astratte e i significati morali vengono trasformati in immagini concrete e figure materiali, il cui significato va, però, oltre quello dei termini che le costituiscono, contribuendo a creare una trama pregnante, densa e allusiva. L’allegoria può non limitarsi a un singolo termine: possono, infatti, considerarsi allegorici alcune forme letterarie come gli apologhi, le parabole e le favole, o alcune opere quali la Divina Commedia di Dante e il Faust di Goethe.
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Metonìmia
In questo caso avviene la sostituzione di un termine con un altro, in base a un rapporto logico che lega il significato dei due termini. Tale rapporto può essere di natura differente, come è possibile intuire dagli esempi sotto:
- rapporto di causa ed effetto o viceversa:
“Talor lasciando le sudate carte” (A Silvia->https://www.sololibri.net/A-Silvia-Leopardi-analisi-testo.html], Leopardi)
- materia e oggetto:
“sguainare il ferro” (Monti)
- contenente e contenuto:
bere un bicchiere
- l’astratto e il concreto e viceversa:
a chi piace la spada (ossia: la vita militare)
- l’autore con l’opera:
leggere Dante
- il simbolo e la cosa simboleggiata:
“educò un lauro... e t’appendea corone” (Foscolo)
- la cosa posseduta e il possessore:
i colletti bianchi, le tute blu
- il mezzo e la persona:
“lingua mortal non dice...” (A Silvia, Leopardi)
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Sinèddoche
In questo caso, simile a quello della metonimia, un termine viene sostituito da un altro, con il quale intrattiene una relazione di tipo estensionale (quantitativa). Ci troviamo di fronte a una sinèddoche quando tra gli elementi scambiati sussiste uno dei seguenti rapporti:
- la parte per il tutto e viceversa. Esempio:
“E se da lungi i miei tetti saluto” (Foscolo)
ho dipinto casa
- il singolare per il plurale e viceversa. Esempi:
l’uomo è egoista
gli Augusti sono rari nella storia
- il genere per la specie e viceversa. Esempi:
i mortali per gli uomini
il pane non ci manca
Analogia
Non si tratta di una vera e propria figura retorica quanto, piuttosto, di una tecnica che accosta realtà o entità logicamente molto lontane tra loro e, allo stesso tempo, mostra, attraverso l’intuizione e il pensiero per immagini, relazioni particolari e corrispondenze poco riconoscibili. Esempio:
“Ma nel mio cuore/nessuna croce manca/ È il mio cuore/ il paese più straziato” (Ungaretti)
Sinestesìa
Questa figura retorica associa due termini (siano essi entrambi sostantivi o un sostantivo e un aggettivo) che appartengono o fanno riferimento a sfere sensoriali diverse, per unirle in un’unica immagine. Esempi:
“pigolio di stelle” (Pascoli)
“urlo nero” (Quasimodo)
“fresche le mie parole nella sera” (D’Annunzio)
Personificazione
La personificazione si realizza attribuendo a cose e ad animali azioni o sentimenti umani; se l’entità personificata “parla” anche allora si ha la figura retorica della prosopopea; se, infine, lo scrittore si rivolge alla personificazione fa un’apostrofe. Esempio:
“D’Achille i cavalli piangenti” (Omero)
Iperbole
Si tratta di un’esagerazione nella rappresentazione della realtà che viene realizzata utilizzando termini o espressioni che amplificano, o riducono, oltre misura la realtà stessa. Esempio:
“Ho sceso, dandoti il braccio/almeno un milione di scale” (Montale)
Ossimòro (o ossìmoro, entrambe le pronunce sono corrette)
Questa figura retorica accosta due termini in forte antitesi tra loro, con lo scopo di creare un effetto disorientante e paradossale. Esempi:
tacito tumulto
sole notturno
è stato breve il nostro lungo viaggio
grido silenzioso
amara dolcezza
silenzio assordante
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Litote
La litote si realizza affermando un concetto attraverso la negazione del suo contrario. Consideriamo, ad esempio, l’espressione:
“Don Abbondio non era nato con un cuor di leone” (Manzoni)
In questo caso la locuzione “non (…) cuor di leone” indica la mancanza di coraggio e, quindi, afferma, seppur in modo molto attenuato, che Don Abbondio era, in realtà, un vile.
Eufemismo
È un espediente stilistico utilizzato per attenuare un’espressione che si ritiene troppo cruda e netta per essere esplicitamente detta o scritta. Esempio:
Il viale del tramonto
Con l’espressione precedente si intende la terza età, la vecchiaia; talvolta rientra però, nell’ambito di questa figura, anche l’uso di un termine dal significato addirittura opposto a quello che si vuole intendere, come avviene, ad esempio, di seguito:
Antonio: davvero un gentiluomo
Per significare che il personaggio in questione è, in realtà, un gran disgraziato.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Le figure retoriche principali: quali sono e perché si utilizzano
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