Racconti del terrore
- Autore: Wilkie Collins
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Straniera
Finisco di leggere i “Racconti del terrore” di William Wilkie Collins nell’edizione Tranchida del ‘94 (nel catalogo delle Edizioni Paginauno) e rifletto sul fascino della narrativa vittoriana di metà Ottocento. Un refolo di vento che d’improvviso intirizzisce una stanza. L’umidore dei crepuscoli precoci che alimentano le ombre. Una visione fugace, un temporale, un dettaglio incongruo, lo scalpicciare di passi nella notte, un presagio, un clima, un’attesa. Non voglio portarla sull’apologia del perturbante che fu ma la tentazione, confesso, resta forte. William Wilkie Collins (1884-1889) lavorava sulla dilatazione parossistica dei dettagli. È stato un antesignano della suspense narrativa. Un maestro dell’ideazione sospesa, sfiancante, tensiva. Nonostante sia alquanto conosciuto per i suoi romanzi gialli, è stato un solido scrittore di genere “fantastico”. Secondo G.K. Chesterton, con Dickens, addirittura
“insuperabile nello scrivere storie di fantasmi”.
Nei tre racconti del terrore inclusi in questa raccolta, l’aura ultramondana è di sfondo, evocata in controluce. Chissà se è un fantasma, La donna del sogno che scompagina la vita del modesto Isaac Scatchard. La sua imago - prima a ancora che la sua incarnazione - può rappresentare tutto e niente, persino la Morte in persona, a volerla tradurre in metafora tanatologica. Resta il fatto che Scatchard vi si imbatte una notte e come una carta sfortunata nel mazzo dei Tarocchi, gli è presagio di rovina. E il redivivo (co)protagonista di La mano del morto? Chi è, in fin dei conti? Un doppio. Un innamorato deluso, un collettore del caso, o soltanto un figlio di nessuno baciato dalla sorte buona e cattiva? All’interno dello specifico di Collins, ogni elemento si presenta come potenzialmente sfrangiabile, amplificabile in funzione del climax, in grado di assumere corpo e valenza metanarrative. Come nel più lineare Un candeliere e una candela, collocabile all’abbrivio dell’avventura di mare e Il pozzo e il pendolo di Poe.
“Falli ridere, falli piangere, falli attendere”
sentenziava un imperativo categorico da proto-corso di scrittura vittoriano. William Wilkie Collins ha fatto sua questa dritta al punto da irretire-inquietare-consolare, quindi di nuovo inquietare, il lettore, giocando con i suoi stati d’animo come il gatto gioca col topo.
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