Salomè
- Autore: Oscar Wilde
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
Salomè. Oscar Wilde. Un’erotica cifra del Destino.
Il dramma teatrale Salomè è stato scritto in francese dall’autore de "Il ritratto di Dorian Gray", nel lontano 1893, per l’attrice Sarah Bernhardt. Il testo, impreziosito dalle immagini dal geniale e maledetto Aubrey Beardsley, sarebbe stato poi tradotto ufficialmente in inglese dall’amico (e amante) di Wilde, Lord Alfred Douglas. Con Salomè, Oscar Wilde rielabora, col consueto, impeccabile stile, un tema che ha coinvolto, prima e dopo di lui, autori del calibro di Mallarmé, Flaubert, Richard Strauss e Carmelo Bene. Il dramma appare solo in parte come una riproposizione della nota vicenda biblica (Matteo, 14,3-11; Marco, 6, 17-28), e, proprio nel suo essere altro dalla storia antica, ne svela la più recondita, metafisica, parossistica essenza. Tra le righe, il fascino perverso del Male si declina nell’arte seduttrice di una bellissima, viziata, a suo modo irraggiungibile, giovane etera e, come nella vicenda di Giuda, si ha il sentore che alcune scelte criminali si radichino nel cielo ascoso del Destino in cui sono trascesi i nostri troppo umani giudizi morali.
Non solo la grazia sepolcrale della vergine, ma anche il suo esoterico, ambiguo e pagano sodalizio con la Luna, carezzano i sensi del lettore pian piano, sino a farli tracimare dentro ataviche, lubriche emozioni. Così, Eros e Thanatos danzano insieme a Salomè nel sangue del giovane siriano Narraboth mentre le ali pesanti dell’angelo della morte vaticinano Disgrazia. Attraverso i dialoghi apprendiamo dell’innamoramento del giovane siriano per Salomè; del reciproco astio tra l’acida e vuota Erodiade e l’indeciso, pavido, umanissimo Erode; dell’attrazione, a tratti morbosa e incontrollabile, che il tetrarca nutre per Salomè e dell’amore malsano della principessa per l’incorruttibile, sensuale Giovanni. Mentre il santo rinfaccia a Erodiade la sue nequizie definendola prostituta e “figlia di Babilonia”, il dialogo tra Erode e gli ebrei sulla natura del profeta (che per alcuni sarebbe Elia) e le parole di due misteriosi nazareni che annunciano la portata escatologica degli eventi in atto, conferiscono al dramma un’aura sacrale.
L’insistenza con cui Salomè prima loda poi disprezza il corpo, i capelli e la bocca di Giovanni cresce insieme al paradosso del suo invincibile fascino che si traduce nella frase ossessiva, dal sapore quasi rituale: “Bacerò la tua bocca, Iokanaan. Bacerò la tua bocca”. Nel monologo finale si percepisce non solo l’immorale senso di rivincita su Giovanni che finalmente può essere baciato dall’impudica “figlia di Sodoma”, ma anche la mestizia abissale di Salomè che, pur sfiorando le scarlatte labbra del santo, si accorge, in una macabra autocoscienza, della sua inerzia cadaverica. La giovane erotica, eroina del Destino rivela l’umano motivo di questo mortifero incanto: “Ah, Iokanaan, Iokanaan, sei stato il solo uomo che io abbia mai amato”. E ancora, “Io ero una principessa, tu mi hai disprezzata. Ero una vergine, tu mi hai sverginata”. Mentre un buio simbolico affoga la luce del palazzo e l’ultimo barbaglio di Luna rischiara le incantevoli e demoniche membra di Salomè, si ode l’inesorabile ordine di Erode: “Ammazzate quella donna!”.
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