Un’altra verità. Lettere a Linde Birk e Dieter Schlesak (1969-1986)
- Autore: Emil Cioran
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Mimesis
- Anno di pubblicazione: 2016
È da diverso tempo che la figura di Emil Cioran non è più considerata esemplare e considerata quanto meriterebbe. Lui, proprio lui, il filosofo apolide che scriveva in un francese meraviglioso dei frammenti di pensieri o saggi in cui era presente il suo pervicace scetticismo e il suo odio verso ogni forma di conformismo intellettuale, compreso il ruolo della Storia negli studi filosofici.
Qui in Italia i suoi libri tradotti da Adelphi divennero dei veri e propri breviari che servivano come antidoto a chi si ammantava di retorica per discutere sulla sicurezza di una paese, le tradizioni storiche e gli ideologismi di destra e di sinistra, mentre il Nostro vedeva reale la storia degli uomini solo come un’immane tragedia individuale e collettiva. Quando venne tradotto tutto lo scibile in francese, si diede la caccia ai suoi libri scritti quando era a Bucarest e prima ancora in Transilvania.
Il filosofo rumeno trascorse quasi sessant’anni della sua vita a Parigi, città che conosceva alla perfezione, essendo stato nella capitale francese uno studente fuori sede, poi un dottorando decisamente fuori corso, tanto che a quarant’anni mangiava ancora nella mensa universitaria. I soldi, pochissimi, gli arrivavano dalla Romania, dal fondo degli studenti che emigravano per finire gli studi in un altro paese, gestiti dall’Università di Bucarest. Venne poi lo studio del francese, lingua verso cui era naturalmente portato, più nello scriverla che nel parlarla, e le prime pubblicazioni dei suoi libri.
L’epistolario che prendiamo in esame Un’altra verità. Lettere a Linde Birk e Dieter Schlesak (1969-1986) (Mimesis, 2016, trad. M. Carloni, M. L. Pozzi) ricopre tutti gli anni Settanta e parte degli anni Ottanta e comprende lettere scritte in tedesco e in francese.
Cioran nel 1970 già viveva da tempo al 21 rue de l’Odéon, Paris IV, la famosa mansarda che ebbe un momento di vero pellegrinaggio più avanti nel tempo, ma non solo per consigli, ma di genitori infuriati che stavano perdendo di autorevolezza per questo cinico personaggio blasé.
Le lettere sono piuttosto formali all’inizio, si tratta Cioran come un grande uomo oltre che finissimo intellettuale. Al principio il filosofo torna a narrare la magia dei Balcani, dei pastori analfabeti e delle persone che perdono tempo tra un’occupazione e l’altra, mentre a Parigi nessuno ha tempo e sono tutti nervosi, la conversazione verte sull’aiuto che Cioran può dare a Dieter Schlesak, per la figura di Benjamin Fondane, scrittore, poeta, filosofo, drammaturgo e regista moldavo, di origini ebree, che fu deportato nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, dove trovò la morte.
Cioran rispose che era stato amico di Fondane, tuttavia avrebbe aiutato l’intellettuale tedesco a reperire materiale scritto.
Da qui Dieter Schlesak fa scoperte su Cioran in Romania che lo sconcertano non poco. Per quanto giovane e disperato fosse e avesse dato aiuto agli ebrei, Dieter trova delle pubblicazioni sinistre di Cioran, che è meglio riportare brevemente:
La teoria razziale sembra essere nata solo per esprimere il sentimento della abissale separazione che differenzia ogni ebreo da un non ebreo.
È un abisso congenito, che non scaturisce dall’antisemitismo, e neppure da qualche concezione, bensì da un contrasto manifesto o nascosto, che caratterizza due essenze fondamentalmente diverse. L’ebreo non è il nostro prossimo, non è il nostro simile e, per quanto sia grande l’intimità con lui, un abisso ci separa, che lo vogliamo o no. (...). Umanamente non possiamo avvicinarci a lui, poiché l’ebreo è prima di tutto ebreo e solo dopo uomo.
Lo so, è agghiacciante. Chi scrive, quando scoperse le simpatie politiche del filosofo da giovane e una qualche forma di fascinazione verso Hitler, durata lo spazio di pochi mesi, come se tutta l’energia che Cioran aveva si fosse incanalata in forme di ammirazione per il male e la menzogna, ebbe voglia di non leggerlo più, di considerarsi a lui estraneo.
Ma poi mi resi conto che lui aiutò Fondane prima di essere denunciato ai tedeschi dalla portiera del suo stabile, aiutò anche altri ebrei a nascondersi. Tra l’altro chi scoperse questo libro del giovanissimo Cioran fu proprio Dieter Schlesak, che gli rimase amico fino alla morte.
O accettiamo la complessità della nostra esistenza che non è una retta parallela, ma è piena di deviazioni, di passi indietro, oppure un’astratta ricerca della verità che non porta a niente in ogni caso. Nessuno può essere perdonato mai, ma questa massima è ammissibile solo se uno fosse "un replicante" seriale, senza emozioni.
Mi sembra che gli errori giovanili di Cioran non gli appartenessero più e se si fosse denunciato come antisemita un ventenne che aveva già problemi di insonnia, che camminava per boschi e cimiteri senza requie, che scappò subito appena ne ebbe l’occasione per arrivare a Parigi, molti intellettuali lo avrebbero bollato come "collaborazionista" (venne persino chiamato dal governo di Vichy per un incarico, che non solo non accettò, ma come si è scritto, si mise di impegno a salvare famiglie ebree ancora residenti a Parigi, colpevoli solamente di non aver capito l’orrore che si era abbattuto sugli ebrei nei paesi occupati dai nazisti).
Ma, in ogni caso, questi studi sulle opere giovanili hanno fatto sì che nei paesi anglosassoni Cioran non sia mai stato studiato o conosciuto adeguatamente come in altri paesi.
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