Un amore sbagliato
- Autore: Giulia Alberico
- Genere: Romanzi d’amore
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Sonzogno
- Anno di pubblicazione: 2015
“Da due settimane non riusciva più a fare un sonno filato. Si svegliava di colpo, più volte”.
Lea, maestra elementare quarantenne, si era accorta che l’incontro con Marco le aveva sconvolto la vita. La donna, nel chiarore dell’alba la cui luce arrivava dalle fessure delle tapparelle, aspettava sveglia che il nuovo giorno arrivasse pieno, intero. In quei preziosi istanti il pensiero di Marco le teneva compagnia “come in una presa diretta continua, involontaria, inarginabile”. L’uomo era arrivato a lei, con delle parole gentili, in un momento della vita di Lea nel quale pareva che nel mondo che abitava fossero scomparse la gentilezza e la grazia. Il rapporto con il compagno Stefano, che era diventato un istrice da quando stava lavorando alla stesura di un manuale di Letteratura italiana per le scuole che lo assorbiva in maniera totale, si stava logorando lentamente.
Del resto se Stefano non era un uomo facile, neppure Lea era una persona semplice, era pur vero che all’inizio si erano susseguiti anni felici, “Poi non più”. Si era insinuato tra loro, come fumo, una cortina di irritazioni e silenzi, distanze, scelte di orari e di ritmi diversi se non opposti, “E, col tempo, raggiunsero una consistenza solida, palpabile, venefica”. Ciò che aveva aiutato la coppia era che sia Lea sia Stefano avevano mantenuto la propria casa, anche se per lunghi periodi convivevano a casa di lei. La sensibilità di Lea aveva percepito che Stefano non la teneva più, e “come una barca disancorata, sciolte le corde, iniziò a galleggiare di qua e di là nello specchio d’acqua fermo e circoscritto che era la sua vita”. Stefano, quindi, “aveva mollato la corda, le concedeva (o si concedeva) di non essere più appiglio, mano che teneva”.
Non è facile ricostruire come possano accadere queste cose, però succedono, dapprima in silenzio, poi lo scontro diventa aperto, “una crepa acuta e dolente”, Lea sentiva che s’innervosiva per nulla. Per fortuna la donna amava il suo lavoro di insegnante, la scuola, un villino liberty immerso nel verde, e i bambini della sua classe, dodici femmine e otto maschi compreso Filippo affetto da autismo, “bambino enigma” la cui mente era una foresta fitta e all’apparenza impenetrabile. Era stato proprio in questo periodo di confusione mentale e di crisi con Stefano che Lea durante un seminario a Reggio Emilia aveva conosciuto Marco Bellesi, noto autore di testi per canzoni, un uomo magro e con la barba che parlava con una bella cadenza emiliana. Si era subito stabilita tra Lea e Marco una complicità che aveva riempito il vuoto affettivo di Lea e che aveva scardinato il tran tran “calmo e opaco” che era diventato il rapporto con Stefano. L’epifania di Marco aveva illuminato l’esistenza di Lea, magici gli istanti rubati passati a Roma quando Marco veniva a trovarla, fino al giorno nel quale l’uomo, convinto di poter dire tutto, “ma proprio tutto” alla donna amata, perché era la persona di cui aveva più fiducia al mondo, le aveva fatto una confessione inaspettata.
“Non posso tenerti fuori dalla mia vita. Tu ora sei parte della mia vita e devi sapere che Carla non è Carla, è Carlo”.
Giulia Alberico, nata a San Vito Chietino e residente a Roma, traccia un ritratto sorprendente e delicato di un triangolo amoroso inusuale ma non troppo in questi tempi di sentimenti inquieti. Lea dapprima per amore accetta la situazione anomala ma poi comprende che la geometria con le cose del cuore “non si accorda, non regge, non funziona”. Insegnante di Italiano e Storia nelle scuole superiori romane per trent’anni, la scrittrice, già autrice di svariati romanzi tra i quali Il vento caldo del Garbino (Mondadori, 2007), grazie a una forte sensibilità psicologica, si dimostra fine indagatrice della mentalità femminile. Anche quando tutto sembra crollare di colpo, la soluzione più difficile si rivela essere la più semplice, quella che può condurre verso una nuova consapevolezza.
“Non era un amore normale ma era qualcosa da coltivare, da accarezzare, da proteggere, da tenere illuminato”.
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