Il segreto di Vittoria. La vita di Vittoria Colonna ai tempi di Michelangelo
- Autore: Giulia Alberico
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Piemme
- Anno di pubblicazione: 2024
Un personaggio complesso, libero, di fine sensibilità artistica e di profondi sentimenti religiosi, in un secolo duro, violento, contraddittorio: è Vittoria, principessa Colonna, sposata a don Ferrante d’Avalos, e dunque per matrimonio Marchesa di Pescara.
Giulia Alberico, dopo aver dedicato pagine incantevoli alla Signora delle Fiandre, Margherita, nel romanzo omonimo, uscito per Piemme nel 2021, continua il suo viaggio e la sua ricerca storica, politica, letteraria con il libro Il segreto di Vittoria (Piemme, 2024) in cui affronta, con la consueta maestria, la personalità poco indagata di Vittoria, che visse “ai tempi di Michelangelo”, in parte a Roma, ma anche in molte altre parti della penisola, seguendo il destino che la sua nascita le aveva assegnato.
Nata a Marino, feudo Colonna, nel 1492, ebbe per compagna fedele, per tutta la vita, una donna, Soso, personaggio di fantasia che offre alla scrittrice il pretesto narrativo per raccontare i segreti di Vittoria dopo che lei sarà morta, ancora relativamente giovane, a casa di una nipote, a Palazzo Cesarini.
Nel romanzo si alternano le voci della fedelissima Soso, che della sua protetta conosce tutti i segreti, anche quello che nessuno aveva mai saputo: l’anomalia fisica che impediva alla giovane principessa di avere una completa vita sessuale.
Vittoria andrà comunque sposa al bel guerriero don Ferrante d’Avalos, che amerà con tutta sé stessa; anche lui, venerando la sposa, accetterà di non poterla fare sua, tacendone a tutti la diversità. I due vivranno la loro relazione affettiva nel castello di Ischia, luogo magico per la giovane sposa, inebriata dall’odore del rosmarino, di cui sapeva il fiato dello sposo.
Dopo la sua morte precoce, la solitudine affettiva di Vittoria sarà totale; malgrado l’insistenza della zia Costanza d’Avalos per contrarre un nuovo matrimonio, deciderà di entrare in convento. Ma questo non le sarà concesso né dal fratello Ascanio, desideroso che la sorella sostenga l’appoggio agli imperiali della famiglia Colonna, né dal Papa, all’epoca Clemente VII.
Vittoria Colonna trascorrerà molto del suo tempo a Roma, nel convento di San Silvestro in Capite, ospite delle consorelle che beneficiavano dell’appoggio della famiglia Colonna, scrivendo, poetando, intrattenendo rapporti epistolari con i personaggi più rappresentativi della vita del tempo: i cardinali Reginald Pole e Contarini, ambedue rappresentanti di quella parte della chiesa cattolica che auspicava una riforma che nascesse al suo interno, per rispondere alle giuste rivendicazioni di Lutero, che vedeva nella corte pontificia e nella curia romana corruzione, immoralità, nepotismo.
Siamo negli anni del Concilio di Trento, e Vittoria fa la sua parte nell’appoggiare gli uomini e le donne che più si sentivano vicini a quel movimento detto degli Spirituali, che propugnava un ritorno al Vangelo. Ecco dunque le figure dello spagnolo Valdès, quella di Giulia Gonzaga, della duchessa di Ferrara Renata di Francia e delle sue figlie, di Caterina Cybo, di Isabella Beseno, uomini e donne coraggiosi, decisi a sfidare le ire del Papa Paolo III Farnese, che aveva creato il Sant’Uffizio, divenuto il feroce tribunale dell’Inquisizione sotto il successore Paolo IV Carafa.
In questa vita dedicata alla spiritualità, alla fede intesa come testimonianza di un impegno al servizio della Comunità, fa irruzione nell’esistenza austera della poetessa Vittoria la figura del maestro Michelangelo, anche lui osservato dalle autorità religiose che ne temevano la personalità e le idee che sconfinavano nella temuta eresia.
Il rapporto dolcissimo fra queste due menti, l’ormai anziano artista che vive in una catapecchia a Macel de’ Corvi, il quartiere romano degli artisti, e la austera principessa romana, è resa da Alberico con una delicatezza, una dolcezza che attraverso l’uso di un linguaggio che definirei “lirico”, rendono l’unione di queste due anime speciali davvero straordinaria: non parlano, i due , siedono su una semplice panchetta, mentre i loro accompagnatori si allontanano, per consentire loro quel poco di intimità a cui loro aspiravano segretamente, mentre un albero di zagara effonde il suo intenso profumo.
Stima, considerazione, affetto, vicinanza, consonanza di pensieri e di slanci, questo cresce tra l’ormai vecchio artista e la donna segnata da una solitudine sentimentale che solo lui è stato capace di risvegliare.
Giulia Alberico si serve di parole efficaci per descrivere la sua protagonista, magra, disappetente, sofferente, che viene raccontata come:
“Disanimata, amputata, pietrificata, spossata”.
Tutta la sua vita, che attraversa un’Italia segnata da truppe che vogliono impossessarsene, fino al Sacco di Roma del 1527, la vede viaggiare tra Napoli, Ischia, Viterbo, Vasto, Pescocostanzo, Ferrara, fino a Venezia e poi di ritorno a Roma, dove si consumano i suoi ultimi mesi, nelle braccia della sempre presente Soso, che le canterà la ninna nanna che l’aveva salutata appena nata.
Il “corpo negato, asciutto, murato” di Vittoria, il cui unico ritratto è quello che le fece il grande Sebastiano del Piombo, ci parla con le parole di Giulia Alberico, che riesce a farci sentire vicina una donna le cui parole giungono solo nelle liriche che l’hanno consacrata poetessa rinascimentale, ma che non rivelano a fondo l’infelicità di una creatura innamorata, sensibile, che non ha potuto vivere appieno la sessualità, e che ha potuto sublimare un amore grande solo nell’incontro quasi muto con un genio ormai vecchio: ma, dice Vittoria, “le anime non hanno età”.
Romanzo bellissimo, che testimonia la maturità raggiunta dalla scrittrice, che riesce, pur delineando un accurato affresco storico-religioso, a far palpitare il cuore dei lettori che incontrano una donna straordinariamente moderna, dotata di intelligenza del cuore, di intuito politico, di raffinata cultura, di lungimirante visione del futuro di una chiesa che rischiava di soccombere per la violenza che stava vivendo.
Vittoria Colonna morirà prima della Controriforma di Paolo IV, rimanendo nell’immaginario con le parole dell’ultima terzina del sonetto che Michelangelo le dedicò:
“O donna che passate
Per acqua e foco l’alme a’ lieti giorni,
deh, fate c’a me stesso più non torni.”
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