Un cuore arido
- Autore: Carlo Cassola
- Categoria: Narrativa Italiana
“Il libeccio era durato fino alla notte prima, e un largo tratto di spiaggia era stato spianato e scurito dalla mareggiata”.
Una giovane donna camminava adagio guardando in terra perché seguiva la traccia di due piedi nudi. La stagione balneare era finita, le ultime cabine venivano smontate in quel momento così la spiaggia era di nuovo libera. Anna non si sentiva triste perché l’estate volgeva al termine, anzi era meglio così, era ora che la vita riprendesse il suo corso normale, anche se la ragazza non si sentiva attratta dai mesi che le stavano davanti. La bellezza di Anna era nascosta, si svelava poco a poco, lei possedeva fattezze regolari: naso ben modellato, disegnate con nettezza e in rilievo le labbra. “Ma il bello di Anna erano gli occhi: verdi, cosa rara in una bruna”. E la voce: rauca, quasi cavernosa che si rivelava incantevole.
“Forse era per questo che ci voleva del tempo per accorgersi di lei e difatti non erano stati molti i suoi corteggiatori: né tra i paesani né tra i villeggianti”.
La passeggiata solitaria sulla spiaggia quasi deserta di una ragazza che sembra già intuire cosa le riserverà il futuro introduce il lettore attraverso le pagine di uno dei romanzi più belli dello scrittore e saggista Carlo Cassola (1917 – 1987), nato a Roma da madre toscana di Volterra e padre lombardo. Lo scrittore, vincitore del Premio Strega 1960 con La ragazza di Bube, qui rappresenta una figura di donna di estrazione popolare che decide consapevolmente, dopo aver vissuto un breve ma intenso amore, di non provare più un sentimento così totalizzante per nessun altro uomo.
“Che importava se l’avvenire non le prometteva nulla? Il passato, contava di più. E poi nessuna vita era povera”.
Il romanzo pubblicato nell’autunno 1961 nella prestigiosa collana Supercoralli della casa editrice torinese Einaudi (in sopraccoperta una raffinata Figura femminile di Amedeo Modigliani) descrive l’educazione sentimentale della diciottenne Anna Cavorzio, la quale negli anni Trenta viveva con la zia sarta e la sorella Bice a Marina di Cecina in provincia di Livorno. “La finestra del salottino era un osservatorio ideale per seguire la vita del paese” dove le brave ragazze non dovevano cadere in tentazione, non dovevano perdersi e nemmeno passeggiare in pineta con i soldati della vicina caserma o farsi corteggiare dai villeggianti. D’estate era diverso, i giovani potevano uscire insieme la sera ma “non appena la stagione era finita, le antiche regole riprendevano il sopravvento, e gli sguardi di curiosità delle donne erano lì a confermarlo”. Anna era poco espansiva forse perché possedeva un’anima pratica, finora lei non aveva nessuna esperienza dell’amore, tuttavia era come se sapesse già tutto. Era una sensazione curiosa provata fin da quando era bambina.
“Tu... è vero quello che dicono che non senti niente. Tu non hai cuore, ecco. Tu... ti diverti a farmi soffrire”.
L’amore per Anna era arrivato all’improvviso nella veste di Mario, il fidanzato della sorella, un sentimento reciproco, travolgente, impossibile, vissuto clandestinamente e presto terminato quando il soldato aveva terminato il servizio di leva.
“... se non ti avessi conosciuto non sarei caduta. Io ero disperata, non potevo più adattarmi alla vita di prima... mi pareva che la vita non avesse più valore. E allora perché avrei dovuto aver cura della mia reputazione?”.
Perdersi dunque nelle braccia di un vitellone di provincia per cancellare il ricordo della passione perduta che “non mi lasciava più vivere”. Da qui la decisione, lucida e consapevole di rinunciare all’amore, perché Anna sapeva che ciò che aveva provato era stato unico, irripetibile. La donna non avrebbe avuto paura né dei ricordi né della solitudine “io sono come i gatti, mi affeziono più ai luoghi che alle persone”, il sole si sarebbe levato ogni mattina riscaldando le anime con il suo calore e con la sua luce per tornare a svelare “l’infinita bellezza del mondo”. Nessuna malinconia o rimpianti per Anna dal cuore non arido ma realista e coerente che d’ora in poi avrebbe continuato a condurre la propria vita nei luoghi che l’avevano vista crescere e maturare, quegli stessi luoghi (la Maremma) che l’autore amava narrare nei suoi tanti romanzi caratterizzati da uno stile semplice e lineare.
Sono ormai trascorsi più di cinquant’anni dalla pubblicazione del volume che l’antifascista e partigiano Cassola volle dedicare a Manlio Cancogni, eppure la storia di Anna sembra quanto mai attuale, non solo per la denuncia di un mondo bigotto e circoscritto ma soprattutto per la scelta della protagonista che contrasta con la malattia che affligge la popolazione del terzo millennio: il terrore della solitudine.
“Ma Anna non provava invidia. Era ormai una donna soddisfatta, quieta e saggia; non aveva desideri né rimpianti, e non temeva la solitudine”.
Un cuore arido
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