Una relazione di Carlo Cassola

Nella Toscana degli anni quaranta, Mario e Giovanna sono due persone semplici e vivono le loro vite in modo ordinario: lui, pendolare, è sposato, ha un figlio e lavora in banca; lei fa la parrucchiera, ha poche ambizioni ed è rassegnata ad una vita dimessa, quasi a voler espiare gli errori, le leggerezze e le frivolezze compiute in gioventù.
I due si incontrano per caso e tra loro si scorge il bagliore di una vecchia passione, che era stata accantonata, ma non si era mai completamente spenta.
La passione giovanile però lascia spazio ad un sentimento più adulto, più vero, più consapevole ma anche privo di leggerezza e fortemente malinconico.
La malinconia è infatti il filo conduttore di questa storia: il dover vivere una vita che non dà soddisfazioni e il voler credere in una relazione, in un amore forte che però non potrà mai vedere la luce. La rassegnazione che convive con l’incapacità di rinunciare ad una passione di cui entrambi sentono il bisogno.

Carlo Cassola racconta la quotidianità di un sentimento vissuto con compostezza, senza esagerazione nei dialoghi o nei gesti, basato sulla facilità di interpretare anche le più piccole smorfie sul viso di chi si ama. L’uso di una scrittura essenziale è fondamentale per trasmetterci questo senso di semplicità, di umiltà, senza nessun fronzolo, nessun particolare superfluo, nessuna ampollosità, nessun inutile esercizio di stile.

“Dobbiamo contentarci di quello che abbiamo avuto. Io me ne contento sai, Mario?”

Con queste parole, Giovanna porrà fine alla storia; lei che sembra così fragile, riesce a trovare nella consapevolezza di essere stata amata davvero, la forza di smettere di crederci.
Quando ci si dona completamente ad una persona in un momento della vita in cui non si è più leggeri, frivoli ed immaturi, quando la speranza lascia il posto alla razionalità e al buon senso, si riesce a trovare la forza di arrendersi, conservando, al contempo, dei ricordi talmente belli e tangibili che possono curare ogni ferita.