Voltaire
- Autore: Gilbert Keith Chesterton
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
François-Marie Arouet (1694-1778), meglio noto con lo pseudonimo di Voltaire, è uno tra gli autori principali della corrente filosofica dell’Illuminismo francese. Nato a Parigi in una famiglia di ricchi borghesi che lo fece educare dai gesuiti, ancora giovanissimo fu introdotto alla vita dell’aristocrazia cortigiana. Imprigionato per due volte nella Bastiglia, il filosofo visse a Londra tra il 1726 e il 1729, dove assorbì il clima culturale che si respirava in Inghilterra a quel tempo. I suoi anni più fecondi come scrittore iniziarono col 1734, quando si stabilì a Cirey, presso la sua amica Madame du Châtelet. Pubblicò numerosi saggi filosofici e varie opere letterarie e nel 1750 accettò l’ospitalità di Federico II di Hohenzollern (1712-1786), Re di Prussia, soggiornando per circa tre anni a Sans-Souci. Dopo il deterioramento dei suoi rapporti con Federico e altri spostamenti, nel 1760 lo scrittore andò a vivere in Svizzera, presso il castello di Ferney. Lì proseguì la sua attività di studioso e divenne un riferimento centrale per l’Illuminismo europeo. Tornò a Parigi solo a 84 anni, per dirigere la rappresentazione della sua tragedia Irene, e vi spirò il 30 maggio 1778.
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Tra i tanti che hanno voluto commentare la biografia e le idee del pensatore settecentesco c’è anche il giornalista cattolico inglese Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), famoso per aver creato il personaggio letterario di Padre Brown. Nel 1936 il narratore fece uscire un breve articolo intitolato semplicemente Voltaire, di cui nel 2018 la casa editrice Tabula Fati ha proposto la sua seconda edizione in lingua italiana.
Voltaire considerava la storia come il "progresso dei lumi", il cammino dell’uomo che "rischiara" se stesso, scoprendo gradualmente il suo principio razionale, ma il saggista britannico capovolse questo giudizio affermando che:
"La rivolta volterriana promise di produrre, e in parte produsse […], la sollevazione delle plebi e l’abbattimento dei troni", però "l’effetto attuale di ciò che noi chiamiamo democrazia è stato la scomparsa della plebe".
Per Chesterton, le idee rivoluzionarie di Voltaire non hanno portato al governo la plebe, ma hanno posto al potere la nuova aristocrazia delle "società segrete".
Nel libriccino è esposta quindi la metafora del seme malvagio che produce un fiore differente da sé, che dà a sua volta un frutto ancora diverso dal suo modello originario. La rivoluzione può evolversi in maniera imprevedibile:
"Il demonio della deformazione deforma sempre un tal genere di seme, non consentendogli nemmeno di conservare la propria difforme natura".
La rivoluzione può anche inaugurare un’ideologia completamente diversa da quella che l’ha scatenata, ma mai qualcosa di positivo. I processi rivoluzionari non conducono al fantomatico concetto di bene che promettono, ma non producono nemmeno lo specifico male che sembrano minacciare appena fanno la loro comparsa nel mondo.
L’influenza volterriana avrebbe quindi "creato ipocriti e pomposi professionisti della politica, di fronte ai quali [Voltaire] sarebbe stato il primo a sghignazzare": il vecchio rivoluzionario è sconfitto dalle rivoluzioni successive.
Chesterton cerca di evidenziare soprattutto il legame che unì Voltaire e Federico di Prussia che, nella sua disamina, rappresenterebbe il passaggio all’era moderna:
"Mi pare a volte che la storia venga dominata e condizionata da […] malvagie amicizie. Come tutta la storia cristiana ha inizio con la riconciliazione di Erode e Pilato, allo stesso modo l’intera storia moderna, nel recente senso rivoluzionario che si dà al termine, incomincia con la strana amicizia che finì in un litigio, come il primo litigio era finito in amicizia".
L’incontro di Voltaire con il monarca germanico pare preludere al matrimonio tra la rivoluzione laica e democratica e il dispotismo.
L’inglese li ritrae come una coppia di uomini che disprezzano la loro stessa cultura:
"Si può incominciare col dire che nessuno dei due si curava gran che della propria patria o delle tradizioni del suo paese. Federico era un tedesco che si rifiutò addirittura di imparare la lingua tedesca. Voltaire era un francese che scrisse una sconcia satira su Giovanna d’Arco. Erano dei cosmopoliti, non erano patrioti in alcuna accezione del termine. Ma vi è questo da notare: il patriota, per quanto stupido sia, ama la patria, mentre il cosmopolita non prova la minima simpatia per il cosmo".
Il rifiuto della religione li unì:
"Quei due grandi scettici s’incontrarono su di un piano concreto, solido e duro come la pianura baltica; sul fatto cioè che Dio non esiste, oppure che Dio non si preoccupa un bel nulla degli uomini, come non si occupa dei vermi del formaggio".
Invero Voltaire non era ateo (bensì deista), ma Chesterton si basa sul ragionamento poc’anzi citato riguardo il sodalizio tra le due figure per individuare la nascita degli errori dell’epoca moderna, sino a quelli del suo tempo. Il volterrianesimo sarebbe colpevole di aver "falsificato la politica in tutto il mondo latino, giù fino alla recente contro-rivoluzione italiana", ossia il fascismo.
Lo stile polemico del romanziere inglese è sempre elegante e suggestivo; in questo caso, tuttavia, il saggio risulta troppo sintetico (una decina di pagine) per esporre un argomento tanto ampio e delicato in maniera approfondita e completa. Questo libretto può lanciare al lettore qualche valida intuizione, ma è insufficiente a fornirgli una trattazione esaustiva; ciononostante vale comunque la pena di studiarlo, anche perché si tratta di una lettura che sottrae pochissimo tempo.
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