A schiovere. Vocabolario napoletano di effetti personali
- Autore: Erri De Luca
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Feltrinelli
- Anno di pubblicazione: 2023
Erri De Luca non ha bisogno di essere presentato ai lettori, tanti sono i suoi libri, le sue riflessioni, i suoi interventi pubblici. Questo libro A schiovere. Vocabolario napoletano di effetti personali, uscito per Feltrinelli nell’ottobre 2023, con una bella copertina azzurra da cui emerge una macchinetta per fare il caffè alla napoletana, mentre dal suo beccuccio, reso celebre da una commedia di Eduardo De Filippo, esce un fumo fatto di parole, è una vera gradevolissima sorpresa.
Le parole di un vocabolario sono dette: voci. Qui mancano proprio quelle, insieme ai toni trasmessi dal napoletano.
Con questo incipit l’autore ci porta a conoscere 101 espressioni, frasi, detti, proverbi della lingua napoletana, accompagnandoci in un viaggio divertente, ironico, colto e popolare, spesso farcito dalle parole che la madre di Erri, con cui l’autore ha vissuto a lungo dopo la morte del padre, gli ha ripetuto e che ora echeggiano in questo insolito vocabolario.
Si parte da A, ‘A copp’ abbascio (indicazione che precisa il moto del verbo “cadere”) come spiega in perfetto italiano l’autore a chi napoletano non è, per concludere con l’espressione che dà il titolo al volume, A schiovere (gli acquazzoni che per il vento cadono di traverso).
Poi però De Luca precisa che l’espressione si usa con il verbo “parlare” e indica un intervento inopportuno, che disturba: parlando di sé, lo scrittore ricorda che i suoi temi in classe, da ragazzo, erano privi di ispirazione e allora lui divagava, andando fuori tema. L’insufficienza era corredata dal puntuale commento dell’insegnante: “Hai parlato a schiovere”.
Tutto il libro è una vera miniera di frasi, parole, espressioni che fanno parte di una cultura, quella napoletana, raffinata e popolaresca a un tempo, che riecheggia nel grande repertorio del teatro, della canzone, del cinema che ha abituato al ritmo di una lingua, a certe forme decisamente dialettali di cui si sostanzia il parlato di una comunità intera, ovunque conosciuta.
Ammuìna, Capèra, Caruso, Muorzo, Viecchio, Schiattà, Scuorno, forse sono termini in cui anche il “non napoletano” si è imbattuto, simili in qualche modo all’italiano corretto e parlato, per quanto vi siano delle opportune precisazioni da parte dello scrittore che mostrano la ricchezza dei dettagli di una lingua coloratissima ed estremamente efficace nella descrizione e nel cambio di significato:
Capèra, da capa, testa è parrucchiera, pettinatrice, servizio che si svolgeva a domicilio.
La capèra girava per le case e chiacchierando conosceva fatti e “fattarielli” di famiglie e persone. Li riportava in giro, perciò la capèra è la:
Dispensatrice di pettegolezzi.
Ci sono poi una serie di parole che non sono riconoscibili nell’italiano corrente, come Rilorgio ( orologio), Sciorta (la fortuna indipendente da merito presente nella canzone di Pino Daniele, Napul’è), Sciummo (il fiume), Strummolo ( una trottola di legno con uno spago che dà la carica).
Ci sono verbi che hanno una sonorità ineguagliabile, ‘Ntalliarse (indugiare) , Piccià (lamentarsi), Spàrtere (dividere): in particolare questa espressione, che ho sentito nella mia famiglia napoletana d’adozione, mi ha sempre colpito per la sua espressività:
Tene ‘a capa pe’ spàrtere ‘e rrecchie.
Per dire che quella persona ha una testa con il solo scopo di sostenere le orecchie, non ha altra funzione: un modo simpatico e ironico per dare dell’idiota.
Quasi ogni voce del vocabolario è accompagnata da un disegno a matita di Andrea Serio, molto appropriato: le anime del Priatorio vedono un’edicola con una donna in piedi su una sedia, le mani alzate al cielo per invocare la Madonna. Immagine tipica che racconta la devozione degli abitanti di una città ricca di tutto, dal gioco del Lotto alla maschera, dal sogno alla brutalità…Iamm’ bell!
Ricordano tutti Funiculì Funiculà e, ci ricorda Erri De Luca, i giovani napoletani che nel settembre 1943 in quattro celebri giornate riuscirono a mettere in fuga l’esercito tedesco occupante al grido di iamm, “una potente chiamata alle armi”.
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