Canzoni. Con il commento di Massimo Germini e Paolo Jachia
- Autore: Roberto Vecchioni
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2021
Parole a rivoli, a fiumane, a seconda che ruscellino di sottilità interiori oppure grandinino meta-significanze civili. Con Roberto Vecchioni in fondo è sempre una questione di logos, di rabbia e di stelle (per citare il titolo di un suo disco). Parole a migliaia – disseminate a voce, per libri, canzoni – e mai qualcuna che vada fuori posto, pronunciata o scritta lì per caso. Le pagine firmate di suo pugno per l’imprescindibile Canzoni (Bompiani 2021, con il commento di Massimo Germini e Paolo Jachia), come si usa dire valgono da sole il prezzo del volume.
Per risalire all’intrinsecità vecchioniana con il Verbo, alle pagine 325-326 sta scritto:
“Le parole sono, in qualche modo, la mia donna. Fin da piccolo le ho amate, le volevo sapere tutte […] La parola è bellissima, si porta dietro trasformazioni abissali, per comprenderla davvero è necessario conoscerne forma e contenuto […] Le parole odierne hanno […] dentro e dietro di sé traversie storiche immani e che mi affascinano profondamente. Quando pronuncio una parola in italiano ‘la vedo’. Amo anche le parole delle lingue antiche, che ho studiato e apprezzato fin da ragazzo: riesco a ‘vedere’ una parola greca o latina mentre la pronuncio. Nelle parole c’è la vita della gente, la storia di un popolo. La parola non è solo comunicazione ma bellezza intima”.
Basta così, se no finisce che ricopio tutto il libro, e non sta bene. Roberto Vecchioni è un intellettuale che non si parla addosso: le sue parole suonano, che le canti o che le affabuli non fa molta differenza. In Roberto Vecchioni la semantica delle frasi si coniuga alla fisiognomica del lemma (l’ha scritto: le parole lui le vede): un battaglione a ranghi compatti di significanti e significati che sa dove vuole arrivare. E ci arriva.
Vorrei anche sapere se esiste signora o signorina che sappia restare immune al fascino dantesco dell’apologia che il Professore rivolge alla compagna di una vita più o meno a pag. 21:
“Nella scelta dei brani presenti in questo libro vi accorgerete che poche sono le canzoni d’amore, d’amore inteso in senso personale. Pur essendo la metà almeno di quelle che ho scritto […] Due sole. Ma sono le due confessioni più belle e più intense al tramonto di un viaggio, il mio, di albe luminose e ipnotiche, con il cuore in gola nel vederla stesa accanto a me, e il terrore bambino di poterla perdere per qualche insulso litigio, falsa nuvola a coprire un attimo il cielo. Ogni canzone d’amore è un madrigale ultimo. L’universo femminile si concentra in un solo nome, il suo. Lei è tutte le donne del mondo di oggi, di ieri, di sempre. Lei è la farfalla che cambia di giorno in giorno colore, allarga le ali o le chiude a protezione del pensiero; ed è sta lei, l’unica donna cantata da tutti i poeti in tutti i secoli in tutte le lingue del mondo, lei, debolezza forte, bellezza antica e intramontabile”.
Esperite le note analitiche e personali di Vecchioni (un flusso di coscienza lucidissimo che contempla teoria e prassi della canzone d’autore, archetipi, autobiografismi, citazioni, incroci, Guccini, episodi, ammissioni/confessioni) il libro si concentra sull’assaggio di un canzoniere trasversale (“per anni e anni […] tanto per non smentire l’io diviso […] sono stato autore di quelle che poco tempo fa dileggiavano come canzonette, Jekill e Hyde”); un canzoniere stratificato e muscolare (in senso numerico). Il fidato chitarrista Massimo Germini e il professore di Semiotica Paolo Jachia ne estrapolano 33 tracce (con la benedizione dell’autore), divagando a loro volta avanti-indietro nel tempo e negli album, fra letture inedite, connessioni tematiche (i motivi ricorrenti del doppio, della morte, del mito), altri inserti vecchioniani di prima mano, a conferma della densità di uno specifico-ponte tra canzone d’autore, poesia e vita vissuta.
Concedetemi l’ineleganza della parafrasi di quanto ho scritto altrove: nei romanzi e nelle canzoni di Roberto Vecchioni ci passa dentro la Storia. Così come ci passano i lirici greci. Ci passano dentro Marx, Omero, Saffo, Hegel, l’epos e la favola. E finanche Dylan Dog se è per questo; in una dialettica insistita di aneliti, vigliaccate, amori tanti, e vino, lupi, canzoni, mitologie, idee, l’Inter, Dio: pizzicotti rassicuranti, per ripetere a se stessi che vivere non è tutta un’illusione e, in fin dei conti, nemmeno un’articolata ipnagogia, se è per questo. Questo libro è scaturigine degli incontri accademici tenuti da Vecchioni all’Università di Pavia, coadiuvato da Germini e Jachia. Senza la loro pervicacia, anzi, questo libro forse non ci sarebbe mai stato. Al musicista-chitarrista e al saggista musicale bisogna dunque riconoscere l’imprimatur dell’ultima parola, a proposito di L’ultimo spettacolo (ad exemplum):
“La canzone è, in effetti, molto complessa, duplice e stratificata, giocata tra passato e presente, tra epica greca e realtà contemporanea. Sono tipici, per esempio, degli anni settanta concetti come “la lotta deve continuare” e il riferimento alla libertà femminista: “Ma non ti ho mai considerato roba mia” […] Musicalmente è una canzone molto teatrale ed epica con fortissimi salti melodici. Un po’ alla Monteverdi che cambiava di continuo melodia mei suoi madrigali. Così la parte antica usa gli archi, la parte moderna usa la batteria e la chitarra elettrica. Un altro segno di questa “dissociazione” è anche il richiamo all’occhio azzurro e a quello blu, dove l’occhio azzurro vede il presente e quello blu il passato”. (pag. 66)
Su questa scia, la lettura di Canzoni scorrazza fluente e in forma significativa. Aldilà dei contenuti inediti sulle origini di molte canzoni – Samarcanda in primis – che si possono rintracciare fra le pagine.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Canzoni. Con il commento di Massimo Germini e Paolo Jachia
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