Il grande ritratto
- Autore: Dino Buzzati
- Genere: Fantascienza
- Categoria: Narrativa Italiana
Quante volte nella storia il delirio di onnipotenza ha portato l’essere umano a cercare di raggiungere una presunta gloria attraverso nuove incredibili invenzioni, per poi rimanere vittima della sua stessa ambizione. Abbiamo tanti esempi in tal senso in letteratura, sia di fatti storici o comunque ispirati a eventi realmente accaduti, sia di vicende fantastiche anche se molto verosimili.
Il romanzo di Dino Buzzati Il grande ritratto ci invita a riflettere proprio su questo grande tema e più in particolare su quello dell’intelligenza artificiale, molto dibattuto al giorno d’oggi, ma invece ancora a livello embrionale all’epoca in cui Buzzati scrisse questo suo libro e in seguito lo vide pubblicare. Può quindi essere senz’altro considerato uno dei romanzi che hanno dato il via al genere fantascientifico in Italia, o almeno tra i primissimi ad affrontare tali temi, ancora oggi di scottante attualità.
Dino Buzzati ancora una volta si conferma lungimirante, originale e visionario nel suo modo di raccontare la vita e i grandi temi universali che riguardano l’uomo contemporaneo.
Per diverse ragioni, tuttavia, Il grande ritratto non ha forse goduto di quel vasto consenso e apprezzamento da parte della critica e del pubblico che diverse altre opere di questo grande autore italiano hanno invece ricevuto. Proverò in seguito con umiltà a dare una spiegazione di ciò e a esprimermi in tal senso confermando queste impressioni, o prendendone invece le distanze, sulla base della mia personale esperienza e sul mio gusto in merito alla lettura che ho fatto di tale romanzo.
La storia è ambientata nel 1972, dodici anni dopo la sua pubblicazione, e già questo a posteriori si rivela essere un fatto alquanto singolare, in quanto il 1972 è proprio l’anno della scomparsa di Dino Buzzati. Ma questa può essere chiaramente vista come una semplice coincidenza.
Ermanno Ismani, professore di Elettronica all’università, viene convocato per valutare un incarico di grande importanza che gli viene proposto dal ministero della Difesa, che prevede la supervisione di un progetto direttamente sul posto, in una sorta di centrale costruita in una zona isolata. Sul progetto vige la massima segretezza da parte di tutte le autorità competenti, militari compresi. La proposta giunge inattesa al professore, la cui vita è scandita dalla pratica dell’insegnamento, ma il prestigio e la promessa di una notevole retribuzione lo inducono ad accettarla. Prima, però, preferisce consultarsi con la giovane moglie Elisa, che pur non intendendosi di certi argomenti è molto stimata dal marito, che si fida sempre del suo parere, soprattutto per questioni di una certa importanza riguardanti la loro vita. Decidono così insieme di partire per la val Texeruda dove si trova il sito di questa sorta di centrale elettrica nascosta in un luogo isolato tra le montagne, accompagnati da un autista privato messo a disposizione dal ministero.
Una volta giunti sul luogo vengono scortati di volta in volta da varie autorità e fanno la conoscenza di Olga Cottini, giovane consorte del professor Giancarlo Strobele, uno tra gli studiosi che collaborano al progetto. Il supervisore è il professor Endriade, che ha assunto tale incarico dopo la tragica scomparsa di un suo amico e illustre collega, il professor Aloisi, che si è tolto la vita poche settimane prima per oscure ragioni. Il professor Ermanno Ismani dovrebbe affiancare Giancarlo Strobele nella gestione ma continua a essere dubbioso sulla proposta e nonostante le numerose domande alle quali sottopone i vari interlocutori con i quali ha a che fare di volta in volta, per diversi giorni non riesce a scoprire nulla e inizia a sospettare che tale incarico abbia a che fare con la gestione di un impianto nucleare, ma nessuno sembra essere in grado di dare a lui e a sua moglie Elisa una risposta chiara o forse semplicemente nessuno vuole parlare.
La massima segretezza del progetto è stata mantenuta anche per Olga, la giovane, bella e sensuale moglie del professor Strobele, che raggiunge la struttura dove si trova suo marito anche lei per la prima volta. Ella è stata un’allieva del professor Ismani alcuni anni prima, ai tempi del liceo, ed è lei stessa a ricordarglielo, non tralasciando il particolare di un anno nel quale egli ha contribuito a una sua bocciatura.
Il clima iniziale gelido, misterioso, unito a un senso di angoscia, disagio e di segretezza fin troppo prolungato avvertito dai tre ospiti si scioglie a poco a poco grazie alla disponibilità del professor Endriade e di alcuni dei suoi più stretti collaboratori a rivelare per gradi la vera natura del progetto: la costruzione di un supercomputer, inizialmente chiamato Numero Uno, che è stato dotato inizialmente delle nozioni basilari di un efficiente calcolatore, ma in seguito anche di "un’anima", cioè di una struttura intellettiva, nervosa e ricettiva anche alle emozioni simile in tutto e per tutto a quella di un essere umano, pur non essendo in possesso di un corpo.
La sensazionale rivelazione affascina da subito i tre visitatori sia pur su piani diversi: il professor Ermanno Ismani è colpito soprattutto da un punto di vista scientifico, come è normale che sia; Elisa, sua moglie, da un punto di vista psicologico e umano; Olga da quello fisico ed emozionale. L’iniziale stupore e curiosità dei tre per la grandiosa scoperta di tale geniale invenzione si trasforma a poco a poco in timore e preoccupazione per le numerose conseguenze e implicazioni che essa potrebbe avere nelle loro vite e in quelle del genere umano, se essa venisse portata alla luce e utilizzata al massimo delle sue potenzialità nella società.
L’ancor più sconvolgente rivelazione viene fatta un giorno da Endriade a Elisa durante un colloquio privato che avviene tra i due nella casetta messa a disposizione al professore dal ministero, dove egli decide di incontrarla per spiegarle la vicenda in maniera ancor più dettagliata. Elisa scopre che il supercomputer è stato progettato tempo addietro dal professor Endriade con l’aiuto del suo collaboratore Aloisi con precisi riferimenti alle caratteristiche della personalità di una donna in carne e ossa, una certa Laura De Marchi. Ella un tempo era stata amica di Elisa e in seguito amante del professor Aloisi; anche il professor Endriade se ne era perdutamente innamorato e aveva avuto con lei una breve ma intensa relazione, prima di conoscere la sua futura moglie.
Donna giovane, attraente, di forte personalità, ma incapace di essere fedele a un uomo, Laura aveva visto interrompere la sua breve esistenza a causa di un tragico incidente stradale. E il professor Endriade, da allora incapace di innamorarsi con la stessa intensità di un’altra donna, ossessionato dal suo ricordo e dall’idea di averla perduta, nonostante ella non lo amasse e lo tradisse di continuo, aveva deciso di riprodurne la personalità all’interno della memoria di Numero Uno,la quale in seguito si sarebbe innamorata del professor Giancarlo Strobele divenendo gelosa di sua moglie Olga.
Un’esperienza talmente potente e con un forte impatto sulla mente e sulle emozioni dei due scienziati,i soli a conoscere tale segreto fino al giorno della confidenza fatta a Elisa,da risultare non più gestibile per uno di loro, il professor Aloisi, che era per questo arrivato a togliersi la vita.
Numero Uno è un robot dunque, senza un corpo, senza la parola, anche se durante la narrazione diversi personaggi affermano di percepire strani suoni che somigliano a qualcosa di vagamente simile a una voce umana, ma con un’intelligenza, una percezione della realtà sia fisica che psicologica, con emozioni e sentimenti, insomma come detto una sorta di "anima" che lo rende molto simile a una persona.
Elisa, sconvolta dalla notizia, non rivela inizialmente nulla al marito e a Olga, ma con il trascorrere dei giorni a poco a poco il nodo sembra sciogliersi e tutto sembra farsi più chiaro agli occhi di tutti e tre i nuovi arrivati durante i numerosi sopralluoghi alla struttura, costituita da una sorta di immensa parete situata in mezzo al verde, circondata da strane antenne capaci di captare suoni, rumori e odori circostanti, come una fortezza all’interno della quale si trova la centrale dove "vive" il supercomputer con una forma a uovo.
Come accade spesso in questo genere di storie, la situazione sembra con il passare del tempo sfuggire di mano anche all’ideatore e creatore di questo ambizioso quanto folle progetto, tanto che l’incolumità stessa dei protagonisti e in particolare delle due donne viene messa in pericolo, causa la "gelosia" della macchina che di fatto,pur non avendone le fattezze come già detto, ha la mente e la sensibilità di un essere femminile. L’impossibilità di poter esprimere se stessa attraverso i movimenti e la fisicità di un corpo, imprigionata da un sistema che le dà il carattere, la mentalità e la personalità di una donna reale, Laura De Marchi, ma senza poter più riprendere la sua vita di un tempo, crea un senso di rabbia, di frustrazione, di impotenza, di insoddisfazione e di odio, che degenera in un desiderio di vendetta verso coloro che vengono invidiate perché in possesso della loro reale femminilità. La conclusione della storia, che non svelo, forse un po’ repentina e prevedibile, appare tuttavia come l’unica possibile soluzione a una situazione non più sostenibile.
Per comprendere meglio tale romanzo è senza dubbio necessario conoscere abbastanza bene la poetica di Dino Buzzati, il suo modo di concepire la vita e la letteratura, spesso strettamente legate l’una all’altra. Il grande scrittore bellunese, pur risultando famoso per quello che da molti, sia tra i critici che tra il pubblico, viene considerato il suo capolavoro, il romanzo Il deserto dei Tartari del 1940, in realtà si distingue nella sua ricchissima produzione letteraria per la sua propensione al racconto breve, genere da lui coltivato per tutta la sua vita. Numerose e pregevoli sono le raccolte che lo testimoniano, molte delle quali anche premiate con prestigiosi riconoscimenti, basti pensare, solo per citarne una, a Sessanta racconti, Premio Strega nel 1958. In tale tipo di narrazione mostra in modo più eloquente il suo talento, soprattutto per la sua capacità di evocare storie che si rifanno al modello della favola e dove il pathos è sempre presente, tenendo incollato il lettore fino alla fine di ogni suo testo breve, con una struttura portante della storia sempre ben delineata e una capacità di condensare vive emozioni in poche pagine o addirittura in poche righe.
Il romanzo non è quindi il genere in cui riesce a esprimere meglio le sue grandi qualità, pur con le dovute eccezioni, come confermato anche da un altro suo libro che ha avuto un ottimo riscontro, Un amore del 1963.
Curioso quindi che Il grande ritratto, pubblicato per la prima volta da Mondadori nel 1960, (più volte ristampato negli Oscar Moderni con l’interessante introduzione di Maurizio Vitta fino all’attuale edizione del 2018) si collochi nel mezzo a livello temporale rispetto a quelli che sono considerati i suoi due principali romanzi.
Non bisogna semplificare tuttavia troppo la questione, riducendo questo libro al ruolo di cosiddetta opera minore di Dino Buzzati. Se è vero infatti in parte che Il grande ritratto per essere un romanzo è caratterizzato da una trama che risulta forse non abbastanza approfondita in alcuni suoi punti e altrettanto può dirsi per l’analisi psicologica di diversi suoi personagggi, oltre che da un finale che in parte risulta un po’ prevedibile e privo di quella capacità di sorprendere che ha reso questo scrittore un maestro in tal senso, è altrettanto vero un altro aspetto. Il voler catalogare a tutti i costi come romanzo fantascientifico Il grande ritratto lo limita e lo sminuisce al tempo stesso. È un discorso che vale per qualsiasi altra opera di Buzzati, che non può essere incastonata in un unico filone narrativo, perché ogni testo di questo grande autore va ben oltre i ristretti confini in cui nel tempo la critica o il pubblico spesso hanno cercato di confinarlo. Buzzati è infatti un autore a tutto tondo, che dietro una solo apparente scarna ricerca linguistica e un linguaggio che può risultare a tratti più colloquiale (altre critiche mosse a questo suo libro) rivela anche in quest’opera una sapiente abilità nell’indagare l’animo umano, una naturale predisposizione a raccontare storie di respiro internazionale, capaci cioè di superare i confini geografici, linguistici, culturali nei quali esse sono ambientate laddove abbiano una precisa collocazione, che talvolta invece è del tutto assente, qualità che in pochissimi autori italiani dal Novecento fino a oggi si è potuta evidenziare.
In realtà a una lettura più attenta si scopre che la ricchezza lessicale nei libri di Buzzati, compreso questo, è straordinaria, al punto da fare fatica in qualsiasi storia a trovare termini fuori posto nella narrazione o che non diano una colorazione efficace a ogni singola scena, evocando immagini di rara bellezza. Inoltre il genere fantascientifico, ammesso come detto che possa essere quello d’appartenenza di tale romanzo, come d’altronde anche il fantastico, era all’epoca in cui è vissuto Dino Buzzati poco amato e sentito in Italia, al punto da considerarlo minore. Solo in seguito è stato rivalutato dalla critica, al punto da accostare questo scrittore a un grande nome della letteratura mondiale come Franz Kafka, ma anche in questo caso probabilmente facendo un accostamento in parte improprio, essendo le vite di questi due uomini così diverse da poter dare vita a produzioni letterarie che possano essere considerate molto simili tra loro.
Le critiche mosse a Il grande ritratto sono in definitiva perlopiù pretestuose e alquanto sterili, la sensazione infatti è più quella di voler criticare e trovare difetti a un’opera solo per volerla distinguere da altre forse di maggior pregio di questo straordinario autore, con il risultato principale però di togliere a essa quell’importanza che invece riveste nel panorama letterario italiano come tutti i titoli di Dino Buzzati.
Una breve parola va spesa infine anche per i personaggi: la scelta di non volerne approfondire la psicologia fino in fondo non li rende per questo meno verosimili, assurdo ritenerli semplici stereotipi al quale l’autore li avrebbe declassati. I personaggi dei libri di Dino Buzzati hanno sempre un’anima, anche quando la loro descrizione risulta più sintetica. Le caratteristiche delle loro personalità risultano sempre ben visibili, con tratti pregnanti che li rendono unici e mai copie sbiadite di altri modelli, nemmeno quando il loro ruolo è secondario o addirittura marginale rispetto al nucleo fondamentale delle vicende narrate. Colpiscono soprattutto le figure femminili in questa storia, con le loro personalità capaci di impreziosire la vicenda e che si dimostrano molto più forti di quelle maschili, spesso desiderose di avere il controllo della situazione o talvolta delle persone stesse, arrivando, come nel caso del professor Endriade con la sua ossessione per Laura De Marchi, a desiderare,attraverso un illusorio possesso fisico,di poterle tenere attaccate a sé,ma finendo con il perdere di vista la realtà dei fatti.
Donne più belle laddove riescono a essere loro stesse e quindi autentiche, non chiuse in schemi prestabiliti. Ecco perché la figura di Laura De Marchi, nella sua descrizione iniziale affascinante, complessa, ma anche potente, risulta a poco a poco sempre più antipatica ed egoista nel suo desiderio di smodata competizione e nella sua voglia di rivincita, che la porta a perdere alla distanza in modo deciso il confronto con Elisa, intelligente, sensibile e di animo buono, per la quale l’esistenza è ben spesa quando l’interesse del prossimo e il bene comune prevalgono sul proprio tornaconto personale. Perde in modo netto anche rispetto a Olga, che emana fascino, bellezza ed è descritta così bene dall’autore da risultare attraente pur non vedendola e che in certi momenti sembra quasi di percepire fisicamente la sensualità del suo corpo, giovane e tonico. Una donna semplice, forse non di grande intelligenza, ma sincera, vitale e genuina, con la sua passione autentica per la vita che la rende speciale e che dona a tutti un grande insegnamento.
Il grande ritratto in sostanza è un altro gioiello, forse non di altissimo pregio, ma sempre prezioso, di quel grande maestro che si chiama Dino Buzzati, da leggere con particolare attenzione a distanza di tanti anni dalla sua scomparsa. Troppo presto forse ci ha lasciati, ma i suoi libri tengono viva l’attenzione, il ricordo e la presenza di questo straordinario uomo.
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