Io se fossi Dio
- Autore: Mario Bonanno
- Genere: Musica
- Anno di pubblicazione: 2013
"Io se fossi Dio" di Mario Bonanno (Stampa alternativa, 2013) dice molto già nel sottotitolo: l’Apocalisse secondo Gaber. Apocalisse dal greco vuol dire sì rivelazione ma, almeno nel senso comune, da sorprendere e mandare a gambe all’aria sempre, vuol dire anche rapido declinare verso la fine degli eventi, degli umori, dei caratteri, della politica nella sua essenza più pura.
Like a rolling apocalisse, Bonanno accompagna Gaber, ce lo presenta e non può che essere una presentazione non tradizionale, non può che essere un pugno nello stomaco. Mario Bonanno ci porta sul luogo del delitto, dove troviamo Gaber, che non ha ucciso, ma sofferto sì. Io se fossi Dio, ma non lo sono. Io se fossi Dio sarei di carne, sembra quasi sussurrare Gaber e sembra fargli eco Bonanno, chino sulla sofferenza individuale di cantante e collettiva, che è poi quella di cui chi canta deve farsi portatore, anche se non vuole, anche se se ne discosta decisamente.
"Io se fossi Dio" non è mai stata incisa su disco (lapidario Bonanno) e l’intro serve quasi a spiegarci come sia naturale che non sia mai stata incisa, se in classifica dominava "Disco bambina" di Heather Parisi. Naturale che ci sia l’Apocalisse, naturale volersi Dio e poi, ancor più naturalmente, ritrovarsi Cecco Angiolieri, cantastorie toscano, in cui affonda la vis polemica di Gaber, mentre crolla il mondo come lo conosce.
Mario Bonanno scava e dissotterra l’opera di Gaber più scomoda e uppercut, così come il cadavere caldo di Moro. Nel coccodrillo di Gaber alla sua morte, "Io se fossi Dio" non viene quasi mai citata, perché con Moro c’entra molto e il giudizio su Moro è ingombrante, tagliente. Perché in fin dei conti aver detto la verità, anche parziale, anche squisitamente personale, si porta appresso sempre come risultato il silenzio degli astanti.
Gaber non risparmia nessuno e Bonanno lo segue (noi con lui), senza tirarsi e tirarci indietro, sperando con tutte le fibre essenziali e speranzose dell’essere che qualcosa si salvi, dall’Apocalisse e da Gaber. C’è il nuovo (il niente? E il punto interrogativo è un po’ speranza, un po’ non capire la fine) che avanza e la sconfitta della Rivoluzione, non quella armata, forse nemmeno quella ontica, ma una qualsiasi rivoluzione e proprio quella che serviva, la sconfitta della Rivoluzione non è ancora percepita, ma c’è. L’Italia ancora non se n’è resa conto, ma Gaber sì, da un pezzo. Poi viene ritrovato Moro morto: tutto cambia e Gaber vorrebbe essere Dio. A quel punto dell’opera di Bonanno, che sa bene come sollevare silenziosamente vita e musica, tutto si ferma, perché alla poesia di Cecco viene strappato via il verso finale, che annulla tutto il resto in favore delle donne leggiadre. Quello che rimane è urlo ininterrotto di dolore e rabbia o forse è solo musica, musica dell’Apocalisse.
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