La Repubblica di Barbapapà
- Autore: Giampaolo Pansa
- Casa editrice: Rizzoli
- Anno di pubblicazione: 2013
Storia irriverente di un potere invisibile
Il "revisionista" e polemico Giampaolo Pansa scocca un’altra delle sue freccette al curaro dal prestigioso arco della Rizzoli: bersaglio, La Repubblica di Eugenio Scalfari, soprannominato Barbapapà.
Pansa ha trascorso in quella redazione ben quattordici anni e quindi ha tutti i titoli per raccontare fasti e miserie di un quotidiano che dal 14 gennaio 1976, data della sua prima apparizione nelle edicole, nel bene e nel male rappresenta un significativo pezzo della storia del giornalismo italiano.
A Repubblica, infatti, sono passati fior di nomi: Gianni Rocca, Giorgio Bocca, Giovanni Valentini, Bernardo Valli, Edmondo Berselli, Claudio Rinaldi, Giuseppe Turani, Paolo Guzzanti.
Un lungo racconto di ricordi e aneddoti raccolti dall’autore in un suo diario personale. La storia politica del Paese si specchia sulle pagine del quotidiano di Scalfari, oggi diretto da Ezio Mauro. Un giornale che ha senza dubbio orientato, in perenne concorrenza con il Corriere della Sera, una parte importante dell’opinione pubblica – in particolare quella rivolta a sinistra - anche "con errori, faziosità, impudenze."
Scalfari, il fondatore, avrebbe così creato le basi di un vero impero editoriale capace di influenzare i partiti e il costume nazionali, all’insegna spesso di una vena di giacobinismo e disprezzo per l’avversario politico da abbattere in quel dato momento storico: parte della Democrazia Cristiana e il Psi di Bettino Craxi, fino a ieri; il Cavaliere di Arcore, in questi ultimi vent’anni.
"In sostanza il successo del quotidiano di Scalfari e oggi di Mauro è dovuto al fatto che si rivolge a un pubblico ex gauchiste. Per il quale in politica nulla è più normale, più naturale della criminalizzazione dell’altro che, di volta in volta, viene indicato come nemico."
Insomma, la redazione di Largo Fochetti sarebbe diventata una sorta di caserma - soprattutto sotto la guida di Mauro, ribattezzato con il nomignolo di Topolino - dove non vengono più tollerate divergenze di opinioni, come in passato, rispetto alla linea politica dettata dal vertice.
Che cosa pensare, dunque? Dobbiamo prestare fede al Pansa pensiero? Le cose stanno realmente così? Oppure siamo di fronte a semplici stille di rancorose affermazioni nate da incrinature di rapporti personali? Certo, che Repubblica abbia scelto da tempo di darsi un taglio, come dire, abbastanza schierato, è sotto gli occhi di tutti. Del resto - domanda dalle cento pistole - esistono forse quotidiani o periodici di attualità che non gravitino intorno ad alcuna area politica?
A prescindere dalla risposta che ciascuno può darsi, leggere Pansa, a mio avviso, fa sempre bene: sia per l’impronta asciutta, elegante, sciolta, concreta, da vero maestro, sia perché i suoi libri – come i suoi pezzi - arricchiscono il lettore di un punto di vista sempre nuovo, acuto, attento, mai supino al conformismo intellettuale assai diffuso negli ambienti della carta stampata. Una delle poche - e pregiate - voci fuori dal coro.
Anche quest’ultima sua sfornata editoriale, pertanto, rimarrà probabilmente indigesta a tanti.
La Repubblica di Barbapapà: Storia irriverente di un potere invisibile
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