La bambina che mangiava i comunisti
- Autore: Patrizia Carrano
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2022
Quattro stagioni nelle quali vive, nel 1956, la piccola Elisabetta, che proprio quell’anno compirà dieci anni. Una bambina speciale, che insieme a sua madre si trova a vivere un anno che dal punto di vista storico è fondamentale per la storia della sinistra italiana, quello del XX Congresso del Pcus, della fine del mito di Stalin e dell’entrata dei carri armati russi a Budapest.
Interessante nel romanzo La bambina che mangiava i comunisti (Vallecchi, 2022) di Patrizia Carrano, il punto di vista con cui è impostata la narrazione: la grande storia vista con gli occhi di una bambina dalla vita familiare complicata.
Sua madre è una militante del Partito comunista, separata dal padre di sua figlia, un nobile casertano dal quale la giovane donna ha preso le distanze ideologiche. La vita a Roma di madre e figlia è una straordinaria ricostruzione dei luoghi, delle abitudini, delle frequentazioni, dei locali, dei quartieri di una città che negli anni Cinquanta del secolo scorso cercava di ricostruire identità, benessere, amicizie, lavoro. La madre, col suo tailleur di grisaglia, la gonna stretta con lo spacco dietro, i tacchi a spillo, bella come una mannequin di Annamode, cerca di trovare una collocazione in quel Partito comunista, ancora molto maschilista, nelle cui lunghe riunioni a Botteghe Oscure si fuma, si discute, si guarda con favore all’Unione Sovietica, anche se piccole crepe si stanno aprendo nelle granitiche convinzioni dei suoi militanti.
Elisabetta guarda con curiosità e talvolta con stupore il comportamento degli adulti con cui si trova a confrontarsi: Emanuele Macaluso, Giovanni Perego, Saverio Tutino, Felice e Viviana Chilanti sono i personaggi con cui sua madre si incontra, mentre la sera a via Flaminia ci si ritrova tutti all’osteria di Menghi, la celebre “osteria dei pittori”, dove si riunivano artisti della scuola romana, Mario Mafai e la sua compagna Antonietta Raphael, e poi Leoncillo, Mino Maccari, Antonello Trombadori; una volta la bambina incontra anche l’austero e silenzioso Vincenzo Cardarelli.
Gli artisti disegnano schizzi che la mamma raccoglie e colleziona, mentre Elisabetta gioca con Lucilla Trombadori nel giardino della villa Strohl Fern, nel parco di Villa Borghese, un luogo magico al centro di Roma. Ma il posto più interessante per la ragazzina che legge le fiabe russe e si è innamorata della strega Baba Jaga è imprevedibilmente una distesa di baracche, col tetto di lamiera, prive delle necessità di base, dove vivono in una sorta di accampamento primordiale centinaia di “poveri”: si tratta di Campo Parioli, quella vasta zona ai piedi di Villa Glori, nel luogo che verrà smantellato solo nel 1958 per far posto al Villaggio Olimpico, in previsione delle Olimpiadi di Roma del ’60.
Lì in una metaforica battaglia culturale e politico-religiosa si affrontano il parroco di Santa Croce al Flaminio e i volontari del Partito comunista, e competono nel portare aiuto ai “baraccati”, ognuno servendosi di una propaganda tipica di quegli anni, quando agli occhi di una chiesa conservatrice “i comunisti mangiavano i bambini”. Elisabetta accompagna la madre al Campo per distribuire il settimanale comunista “Il pioniere”, vestita con un abitino a punto smock: la piccola Cesira, magra e sporca, le chiederà di provare il vestito, e comincia così l’amicizia preziosa fra le due bambine, e l’incontro fra due realtà, fra due mondi contrapposti che si fronteggiano in un quartiere romano dove il benessere sempre più esteso incontra a pochi passi una miseria e uno squallore da terzo mondo.
Così Elisabetta impara ad andare con suo padre da Doney a via Veneto, a Villa Massimo negli studi dei giovani pittori che si stanno affermando sulla scena artistica romana, all’isola d’Elba ospite dei Chilanti, nella sede della Cgil a Corso d’Italia dove le lasagne vengono servite con porzioni abbondanti alla mensa comune e sono rosse come le bandiere che sventolano nel manifesto di Giulio Turcato appeso nel grande salone. La bambina non va a scuola, sua madre l’ha esonerata dall’ora di religione e questo ne ha segnato la discriminazione. Studierà a casa, ma questo la priva di amicizie e relazioni con i coetanei: solo Cesira, suo fratello Straccio, un ragazzo intelligente, povero, destinato al riformatorio, la piccola Mirella, figlia delle portinaia della casa finalmente ottenuta, dopo tante richieste e tanto girovagare, sono i suoi veri compagni.
Patrizia Carrano riesce a esprimere con il linguaggio semplice ma mai banale di una ragazzina degli anni ‘50 le difficoltà, i desideri, le sconfitte, le speranze, gli obiettivi di un’intera generazione uscita da una guerra crudele, da una sconfitta militare e politica, dalla caduta di miti e dal tentativo di ricostruire tutto: case, identità, appartenenza politica, vita familiare.
La madre di Elisabetta vive tutte queste esperienze, e la figlia non può che osservarle e viverle di riflesso, crescendo rapidamente. Anche lei imparerà a fare presto le sue scelte autonome e coraggiose: regalare il suo abito alla nuova amica, decidere di respingere la proposta della aristocratica nonna paterna di raggiungerla nella casa avita e restare a Roma nella pur precaria esistenza che sua madre le offre, impegnarsi nella lettura, Andersen e Afanasjev saranno i suoi libri di testo.
La mitica nevicata romana del febbraio 1956, quella che imbiancò improvvisamente tutta la città e che la rese nuova e diversa agli occhi dei suoi stessi abitanti, conclude questo racconto, nel quale chi, come me, appartiene alla stessa generazione della piccola protagonista, non può non immedesimarsi con commozione. Patrizia Carrano è riuscita, con la leggerezza di una fiaba, ma con la consapevolezza di chi ha molto vissuto e molto riflettuto, a rileggere la storia di quegli anni con la consapevolezza degli errori in buona fede fatti da molti, cattolici e comunisti, ricostruendo una visione umana del percorso culturale, politico, umano, vissuto e offrendone una sintesi lucida e intelligente.
Mi chiamo Elisabetta, sono poco più piccola della protagonista, abito nei pressi di Campo Parioli, ho amato gli artisti incontrati, sono contenta che Patrizia Carrano abbia scritto un romanzo originale e coraggioso, specchio di una quotidianità poco raccontata, di un’atmosfera restituita con coerenza e onestà intellettuale nella quale ritrovarsi attraverso le pagine della letteratura.
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