La paglia bruciata. Racconti in versi
- Autore: Ignazio Buttitta
- Categoria: Poesia
- Casa editrice: Feltrinelli
“La paglia bruciata. Racconti in versi” è del 1968, l’anno in cui esplode la contestazione studentesca. Il Paese, uscito lacerato e martoriato dalle rovine del secondo conflitto mondiale, si avviava verso l’immane ricostruzione fino al cosiddetto boom economico. I contadini meridionali abbandonavano i campi e in massa raggiungevano il triangolo industriale del Nord-Italia per improvvisarsi operai, o la Svizzera oppure le miniere di carbone del Belgio. Anche il dialetto mutava, contaminandosi sempre di più con la lingua nazionale.
È nel mutato contesto culturale e sociale che la Feltrinelli pubblica quest’opera di Ignazio Buttitta con la prefazione di Roberto Roversi e una nota di Cesare Zavattini. Essa abbraccia vigorose storie, radicate nel sentimento popolare, da cui viene fuori l’immagine di una Sicilia offesa e di un’Italia che ha subìto misfatti. I lamenti di Ignazio Buttitta prendono infatti respiro anche fuori dell’ambito regionale e fanno leva sull’incancellabilità del ricordo sostenuto da una pena profonda per i sogni infranti e da una speranza accesa per l’uomo.
Degne di nota sono I fratelli Cervi e I monaci di Mazzarino, dove storia e cronaca felicemente si amalgamano con la poesia. Muoviamo, in sintesi, dai fatti che scossero la vita di un piccolo centro a una quarantina di chilometri da Caltanissetta, nel centro dell’Isola. Il 16 febbraio del 1960 quattro frati del locale convento clamorosamente vengono arrestati con l’accusa di azioni mafiose, tra cui estorsioni con sequestri di persona ed omicidi a catena. A soffrirne è tutta la comunità che vive nell’incubo. Mauro De Mauro dalle colonne de L’Ora li definiva monaci-banditi, i don Abbondio dell’estorsione. Dopo due anni di carcere, la sentenza di primo grado li assolve. Poi, il processo, che appassionò e divise sia l’opinione pubblica che le forze politiche, tenutosi alla Corte d’Assise di Messina il 12 marzo del 1962, si concluse con la loro condanna a tredici anni. Vittime d’oscuri intrighi o complici quei monaci? Per l’accusa nessun dubbio: erano stati loro
“i capi dell’associazione a delinquere”.
Due anni dopo, la sentenza viene annullata per difetto di motivazione e a Perugia si apre un nuovo processo d’appello. La corte, riaffermando la correità dei religiosi, riduce la pena da 13 a 8 anni.
Il canto di Ignazio Buttitta è un’invettiva di pungente ironia, dove il campo è messo a fuoco con inquadrature pregevoli e procede per dettagli che rappresentano il fatto. Coinvolgente, struggente la ballata per i fratelli Cervi che restituisce un tragico evento. Erano contadini padani con idee antifasciste. Presi prigionieri come partigiani, subirono torture e poi vennero fucilati dai fascisti il 28 dicembre del 1943 nel poligono di tiro di Reggio Emilia. Dell’evento resta anche la poesia di Salvatore Quasimodo Ai fratelli Cervi, alla loro Italia.
Nella nota ballata di Ignazio Buttitta a porsi in primo è lo strazio di Genoeffa Cocconi, la madre dalla forte personalità, morta di dolore. La vediamo mentre, facendo e rifacendo i letti, ripete sempre a uno a uno i nomi dei propri figli. Amavano la libertà, coltivavano la terra con impegno e amore, e seppero dignitosamente morire. Sono morti per i morti, ma sono vivi per i vivi racconta il poeta nelle piazze:
“Sunnu morti pi li morti, / pi li vivi, vivi sunnu: / la so fidi e lu so amuri, / sunnu l’occhi di lu munnu, // Sunnu vivi pi li patri / ca cumpì li novant’anni / e li vidi ogni momentu / ca diventanu cchiù granni. // A la notti mentri dormi / si li trova pi davanti / e ci parra comu parranu / li fidili a li so santi. // La mattina si risvigghia / e non vidi tettu e muru, / ma li figghi pi li campi / tutti setti a lu lavuru” (“Sono morti per i morti, / per i vivi sono vivi: / la loro fede e il loro amore / sono gli occhi del mondo. // Sono vivi per il padre / che compì i novant’anni / e li vede ogni momento / che diventano più grandi. // Alla notte mentre dorme / se li trova per davanti / e ci parla come parlano / i fedeli con i santi. // La mattina si risveglia / e non vede tetto e muro, / ma i figli per i campi tutti e sette sul lavoro”).
Come a dire che il martire sopravvive alle ingiustizie. La poesia, parola-voce, dunque: un modo d’essere, una promessa di futuro di fronte ai torti della grande storia.
La paglia bruciata. Racconti in versi
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