La mia vita vorrei scriverla cantando
- Autore: Ignazio Buttitta
- Categoria: Poesia
- Casa editrice: Sellerio
“La mia vita vorrei scriverla cantando” (Sellerio, Palermo, 1999) è questo il titolo della raccolta che, in un’articolazione diacronica ben strutturata, comprende componimenti di Ignazio Buttita scelti dalle sue opere più note. Curata dai nipoti Emanuele e Ignazio E. Buttitta, si rivela meritoria e indispensabile a lettori e studiosi, data la difficile reperibilità degli scritti del nostro Autore relativi al lungo periodo che va dal 1923 al 1986.
La scelta è stata dettata da un criterio ben preciso: quello dell’impegno socio-politico che emerge da liriche intense e coinvolgenti.
Il titolo dell’antologia, che dunque consegna ai lettori la fisionomia del nostro cantore epico-popolare, è stato desunto dalla sua opera “La paglia bruciata” (Feltrinelli, 1968), il cui incipit recita:
“La mia vita vorrei scriverla cantando, ma ho la chitarra scordata e la voce catarrosa: sarebbe una suonata ai sordi”.
Salvatore Di Marco, ha sì elogiato l’iniziativa, pur lamentando l’esclusione dei versi di Marabedda. Egli ha scritto:
“si tratta di una raccolta assai ampia di poesie (51 scelte tra i suoi libri più famosi) selezionate da quasi tutta l’intera produzione buttiniana: cioè, da “Sintimintali” che fu la silloge d’esordio nel 1923, e poi da Lu pani si chiama pani del 1954, ancora da Lu trenu di lu suli a La peddi nova del 1963; e tra queste figurano poesie ormai classiche come il “Lamentu pi la morti di Turiddu Carnivali”, Sariddu lu Bassanu, Lu silenziu. Otto componimenti sono stati inoltre tratti dal volume “Io faccio il poeta” del 1972, e una buona mezza dozzina dal celebrato “Il poeta in piazza” (1974), altrettante dalla raccolta di “Pietre nere” del 1983. Sono stati, infine, così attraversati tutti i passaggi del percorso di Buttitta, o quasi. Infatti la selezione si conclude con la aggiunta di un gruppo di liriche assunte dal volume – anch’esso a suo modo antologico – “Prime e nuovissime” (Torino, 1983). Si tratta di nove poesie relative al periodo 1922-1954 apparse in giornali e periodici dialettali rèsisi di rarissima reperibilità, integrate da un altro gruppo come ‘nuovissime’ (...). Resta così intatto il sapore del suo dialetto che ha radici nella Bagheria d’inizio Novecento e s’allarga poi alle mutazioni linguistiche dei tempi più vicini a noi”.
Sono le sue preziose annotazioni che si trovano nel volume “Gli occhi del mondo. Saggi su Ignazio Buttitta”, dove Di Marco consegna un ampio affresco da cui spicca l’opera di Ignazio Buttitta, letta lungo i periodi più difficili della storia di Sicilia e nell’ottica del riscatto. Da qui l’attualità del messaggio buttiniano in un’epoca come la nostra attraversata da eventi che, che per tutti i popoli del pianeta, stanno mettendo in crisi i valori della pace, della tutela della natura e della giustizia sociale.
Può essere ancora viva la voce dirompente del poeta di Bagheria? Le valutazioni di Gianfranco Contini, di Carlo Levi, di Pier Paolo Pasolini, di Leonardo Sciascia che si possono leggere nell’antologia, alle quali segue una accurata nota bibliografica, sono davvero illuminanti. Indubbiamente la rilettura dei versi di Ignazio Buttitta rappresenta un’operazione di riflessione sugli apporti di una poetica che, ha scritto Giovanni Pasqualino nel Giornale dell’Etna (Catania, 27 dicembre 1999)
“oltrepassa i limiti del dialetto per diventare (...) linguaggio universale”.
Ha egli ragione, insieme a Di Marco: il poeta di Bagheria, a parte l’assoluta originalità dei suoi versi che si collocano nell’eredità del neo-realismo, manifesta con estrema onestà intellettuale un’ampia gamma di sentimenti dettati dalla passione viscerale per la propria terra, da una partecipazione agli eventi regionali e nazionali e specificamente da una lunga frequentazione con la migliore scrittura dialettale e non. Dell’Isola, in particolare.
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