Sorelle di Ada Negri

“Sorelle” (Elliot, 2016) è una raccolta di 21 racconti che indagano la complessa realtà femminile nell’Italia del primo Novecento, redatti dalla scrittrice e poetessa Ada Negri (Lodi 1870 - Milano 1945), prima donna a essere ammessa all’Accademia d’Italia.
Di umili origini, il padre Giuseppe vetturino, la madre Vittoria Cornalba tessitrice, rimasta orfana di padre ad appena un anno di età, Ada Negri era nata e cresciuta all’ombra della portineria del milanese Palazzo Cingia-Barni, nella quale la nonna materna, Giuseppina Panni, lavorava come custode. L’infanzia e l’adolescenza dell’autrice erano trascorse nelle due misere stanze della portineria del Palazzo, non solo, quando Giuseppina Panni divenuta troppo anziana, aveva dovuto lasciare la portineria, madre, figlia e nipote si erano trasferite in due stanzette del sottotetto. Giocando con le figlie del conte Cristoforo Barni, Ada Negri già fin da piccolissima si era accorta della forte disparità sociale esistente tra lei e le sue compagne di giochi, provando un forte senso di umiliazione e di vergogna, perché aveva il compito di aprire il cancello alle carrozze dei conti e dei loro ospiti. Cominciando a frequentare la scuola normale femminile di Lodi, Ada aveva dimostrato grandi capacità di apprendimento e una forte fantasia sollecitata dalle letture a voce alta di romanzi d’appendice fatte dalla madre alla nonna, alle quali la ragazzina aveva assistito fin dalla tenera età.
L’insegnante d’italiano accortosi del precoce talento dell’allieva la incoraggiò a continuare gli studi. Diplomatasi nel 1887, Ada ottenne un posto d’insegnante elementare a Motta Visconti (Pavia), dove la diciottenne si trasferì mentre nello stesso tempo iniziava la sua vocazione poetica che la spingeva a scrivere nel cuore della notte versi compiuti.

Per la redazione di questi racconti Ada Negri attinse a quel periodo, quando venne in contatto con il mondo contadino e con i suoi figli,

“quando insegnavo nella prima classe dei maschi” composta da “ottanta o novanta diavoli scatenati”.

Studenti che irrompevano nell’aula, in gran parte sporchi, “pieni di pidocchi e di monellerie”, che piacevano alla Signorina Maestra, perché

“fra essi, mi sentivo un diavolo scatenato anch’io”

descritti ne La Cacciatora, il titolo del primo racconto della raccolta, dedicato alla figura di una donna che ha rinunciato alla propria femminilità in segno di lutto.

“Io l’amavo troppo per rassegnarmi. Divenni pazza. Avevo perduto il mio uomo: non volli più essere una donna”.

Stagliata nella verdeggiante campagna umbra, è Eurosia, protagonista delle brevi ma coinvolgenti pagine di Sora Ro’. Eurosia asciutta e olivastra, con un profilo etrusco, andata sposa giovanissima a un possidente di campagna morto all’improvviso proprio quando qualche annata di gramo raccolto, affari un po’ rischiosi e speculazioni un po’ avventate avevano messo a rischio il podere. La donna, circondata da sei pargoli e incinta del settimo che avrebbe chiamato Francesco come il defunto marito, si sarebbe rimboccata le maniche fino a diventare in capo agli anni, per i coloni, per i dipendenti, per i figli, per gli amici, per tutti Sora Ro’

“donna d’esempio e di consiglio”.

La fatica di vivere e il non rassegnarsi all’avverso destino sono racchiusi in Niobe. Nel casamento d’angolo di viale Premuda, a Milano, dalle otto alle otto e mezzo del mattino risuonavano i colpi dei battipanni delle fantesche sui ballatoi a tappeti e a materassi. Tra loro anche la portinaia Lionarda, a servizio presso la famiglia Arrighi, in pena per la sorte dell’unica bambina dei nove figlioli che le era rimasta, Nicoletta minacciata di continuo

“da un oscuro male che i medici chiamano, a ogni manifestazione, con un nome diverso”.

Ma la madre non perdeva le speranze, lavorava pregando:

“Dio di misericordia, non togliermi quest’ultima”.