È previsto per giovedì 10 ottobre l’annuncio del vincitore del Premio Nobel per la Letteratura 2024. L’Accademia Svedese compirà la sua scelta sulla base di una rosa di cinque nomi stabiliti lo scorso maggio e, con l’avvicinarsi del fatidico momento, impazza il toto Nobel.
A meno di una settimana dall’assegnazione del prestigioso premio sono sempre più movimentate le indiscrezioni e le scommesse, anche se è chiaramente impossibile cercare di captare segnali dalla giuria, anche perché la short-list dei candidati viene tenuta segreta per cinquant’anni dopo la nomina del vincitore.
Al momento i nomi che ricorrono più spesso quando si parla di possibili vincitori sono Haruki Murakami, Margaret Atwood, Anne Carson, la cinese Can Xue; ma si tratta solo di supposizioni.
Sappiamo bene che, nella secolare storia del premio, hanno trionfato spesso gli autori più insospettabili: nel 2021 ha vinto del tutto a sorpresa lo scrittore di origine tanzaniana Abdulrazak Gurnah.
Negli ultimi anni tuttavia si è verificata una sorta di inversione di tendenza con alcune eccezioni: il 2022 è stato il turno di un’autrice acclamata, la francese Annie Ernaux, mentre nel 2023 ha vinto il norvegese Jon Fosse, considerato il “Samuel Beckett del XXI secolo”, dato per favorito al secondo posto nelle classifiche di scommesse dei bookmakers.
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Ora, secondo quanto riportato da Nicerodds, i dati danno come favorita la scrittrice cinese Can Xue, creatrice di una narrativa visionaria.
Segue in seconda posizione l’australiano Gerald Murnane, celebre per il suo romanzo Le pianure (edito in Italia da Safarà Editore nel 2019) e considerato uno dei maggiori scrittori in lingua inglese viventi. I suoi romanzi hanno uno stile meditativo che si presta più al saggio che alla narrativa.
Al terzo posto si piazza, onnipresente come ogni anno da minimo cinque anni a questa parte, la canadese Anne Carson, poetessa, saggista e scrittrice. Dapprima conosciuta essenzialmente come poetessa (edita in Italia da Crocetti) o come autrice di opere ibride tra poesia e prosa quali Autobiografia del rosso (La nave di Teseo, 2020), i suoi saggi sono stati pubblicati di recente in Italia da Utopia Editore che ha promosso un’interessante opera di riscoperta della saggistica di Carson, presentando ai lettori italiani libri quali Economia dell’imperduto, Decreazione, Eros Il Dolceamaro, proposti in edizioni molto curate che ci permettono di scoprire l’incredibile creatività unita alla straordinaria conoscenza e competenza dell’autrice canadese, autentica miniera di insegnamenti e lezioni letterarie. Anne Carson ci ricorda che la letteratura ci spiega le cose, persino quelle in apparenza più astratte o insondabili, come la verità su Dio o sull’amore, che poi, in fondo, potrebbe anche essere la stessa.
Al quarto posto la poetessa e sceneggiatrice russa Ljudmila Ulickaja, considerata la “migliore erede del grande romanzo russo”, vincitrice in Francia del prestigioso premio Prix Médicis. Ulickaja è laureata in Biologia presso l’università di Mosca e ha lavorato a lungo come scienziata presso l’Istituto di genetica. Nel 2001 è stata la prima donna a vincere il Russian Booker Prize. Ha scritto circa quindici romanzi, pubblicati in Italia da La nave di Teseo e Edizioni E/O, sceneggiature e numerosi libri di poesie.
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Presenti in lista anche Salman Rushdie, il francese Pierre Michon, la caraibica Jamaica Kincaid e lo scrittore e sceneggiatore ungherese László Krasznahorkai.
E gli italiani? L’ultimo Premio Nobel per la letteratura vinto da un italiano risale al 1997 con Dario Fo, mentre a oggi il più quotato è lo scrittore e germanista Claudio Magris per la sua grande produzione saggistica che tocca importanti temi culturali e identitari.
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Chi vincerà? E voi per quale scrittore fate il tifo? Vi aspettiamo nei commenti.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Premio Nobel per la letteratura 2024: ecco gli scrittori dati per favoriti
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Detesto i giapponesi, spero non li votino.
Ngũgĩ Wa Thiong’o
ho conosciuto Ngũgĩ a Nairobi, all’epoca già si faceva chiamare Ngũgĩ e non più James, infatti dal 1967 si ispira al marxismo di Frantz Fanon, (I dannati della Terra, 1961) rinuncia alla religione cristiana e alla lingua inglese, in qualità di professore di letteratura inglese all’Università di Nairobi promuove dibattiti sull’ opportunità di modificare la denominazione di “Dipartimento di Letteratura inglese” in “Dipartimento di letteratura”, sic et simpliciter.
Come Capo cattedra di tale Dipartimento, ricordo che organizzò un Seminario su Lukács cui partecipai, intanto di mia iniziativa traducevo in italiano un suo libro di saggi di letteratura Homecoming, Essays on African and Caribbean Literature, culture and Politics, nel quale particolarmente illuminante è quello sullo scrittore delle Barbados George Lemming, e il suo bildungsroman The Castle of my skin (1953) definito da Ngũgĩ “uno studio sulla rivolta coloniale”, e “uno dei grandi romanzi politici nella moderna letteratura coloniale”. Fu in quel periodo che Ngũgĩ scrisse in lingua gikujo la pièce Ngaahika Ndeenda (“I’ll marry when I want”), destinata ad essere rappresentata nel teatro del villaggio di Kamiriithu, dove Ngũgĩ e altri docenti dell’Università di Nairobi avevano organizzato un centro culturale focalizzato soprattutto sulla ricerca delle tradizioni del Kenya e del teatro africano, al fine di tornare a una forma di teatro favorevole alla partecipazione spontanea e collettiva del pubblico, contro la tradizione invalsa nel teatro borghese di una rigida separazione tra attori “stelle” da una parte e spettatori immobili e passivi dall’altra. La commedia “I’ll marry when I want” non si limita a proporre un ritorno alle origini rituali-religiose del teatro africano, bensì attacca anche l’ipocrisia religiosa e la corruzione della nuova élite al potere in Kenya. Malgrado il successo, dopo sei settimane la rappresentazione ne fu proibita e il suo autore imprigionato per più di un anno (di questa esperienza carceraria scriverà in A writer’s prison diary-1981). Uscito di prigione con l’aiuto di Amnesty International ed emigrato negli Stati Uniti, Ngũgĩ tornò a scrivere in inglese, il libro che lo ha reso famoso è Decolonising the mind (1986), dove sottolinea il fondamentale ruolo dell’imposizione della lingua della cultura dominante nel far penetrare in profondità colonialismo e schiavitù, un’operazione di plagio che, assieme alla lingua nativa, vuole sradicare dalla mente dei colonizzati identità e appartenenza. È in quest’opera che dichiara la sua intenzione di scrivere d’ora in avanti soltanto in gikujo o kiswahili.
La poesia, una passione di sempre.. Spero che il Nobel per la letteratura 2021 sia attribuito alla Poesia..
Sarei felicissima se vincesse Stephen King. Secondo me, meritano anche John Irving, Haruki Murakami, Patrick Suskind, Amin Maalouf, Isabel Allende, Daniel Pennac o Ismail Kadaré. Non mi dispiace scoprire autori nuovi, ma ogni tanto vorrei poter dire "questo lo conosco!"