Versi d’amore
- Autore: Gabriele D’Annunzio
- Categoria: Poesia
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2008
Rivisitare Gabriele D’Annunzio produce un fremito interiore: è il ricordo attualizzato della connessione tra la natura, l’amore e il divino, da cui scaturiscono insieme l’amore e la poesia.
Da un tale intreccio nasce vincente il panismo del poeta esteta; le sensazioni, visive e tattili, sonore riprodotte con sinergia estremamente elegante, diventano conoscenza, autoconsapevolezza, un “superomismo” felice che fa scrivere al poeta di sentirsi posseduto da un dio silvestre.
Ciò gli accadeva fin da ragazzo, dal tempo del Canto novo (1882) , testo che lo rivelò precocemente alla comunità letteraria e non molto dopo al pubblico, di cui D’Annunzio divenne il Vate, messaggero di una vita alta, celestiale, raccolta e concentrata negli elementi: sole, mare, luna, conchiglie, alberi trasfusi nei versi con lui. La donna appare necessariamente, donna-natura, reale e sublimata.
Il Canto novo è ripreso nella corposa silloge Versi d’amore (Einaudi, pp. 621, 2008, a cura di Pietro Gibellini). Sono state tralasciate le poesie dedicate alla gloria. Non ve n’è bisogno: è già glorioso il paesaggio, glorioso il giovane nuotatore che diventa pesce:
Ignudo le membra agilissime a ‘l sole ed a l’acqua / liberamente, come un bianco cefalo / nuota, fiutando ne l’aure lascivia di muschio / […] i diamanti liquidi scintillano, / galleggian d’intorno lunghissime foglie rotonde / […] nuota il giovine ignudo pe ‘l fiume torpido a’l mare / tra gl’incantesimi tuoi, maga invisibile.
Gloriosa la luna che assiste, è un nume:
"Un corno d’oro pallido / ne l’ ciel verdognolo; sospirano / i flutti: - è il novilunio; / amate,o giovani baldi, le vergini / oceanine!”
Il poeta compare nel sole del nuovo giorno con il volto sannita, compartecipazione del tutto. Lei, la ragazza, Lalla, con il corpo slanciato, è attrazione magnetica, attraverso i capelli:
Venne una bianca figlia di Fiesole, / alta e sottile, da l’occhio d’aquila / raggiante splendor di topazzo / ne ‘l sorriso, raggiante il pensiere. / Venne, e di strani legami d’edera / ella, de’ lunghi capelli avvinsemi; / tremando la bocca mi porse.
Insieme essi attraversano prati di fiori, mano nella mano, come adolescenti:
“prati fioriti d’astrée, di madrepore! / […] ma queste mute nozze valgono un inno: amate!...”
D’Annunzio chiede baci ma anche creatività, ispirazione e versi, appaganti quanto un amplesso. Il giorno cammina. Tutto assomiglia a un legame amoroso:
Oh come splendide di sole passano / le vele a coppia lunge si perdono.
La fine del giorno chiude il ciclo, con le messi verdissime ondeggianti come il mare, sono “murmuri e brividi”, passione, misticismo.
“E non il dio è in me? Non rinfrangesi il palpito eterno / de la materia ne’ miei nervi, e vibrane….?”
È la magia di un testo raffinatissimo, un giorno paradigmatico di maggio, li riassume, inebria.
Il libro contiene vocaboli oggi in disuso, tanto da doverne ricercare, spesso, il significato nel vocabolario. Ebbene sì, anche un tale esercizio praticato nell’adolescenza sui banchi di scuola è "canto novo", resurrezione di emozioni, parole inusitate che ridiventano rivelazione.
Gioiello estratto dalla vastissima produzione dannunziana, il volume la rappresenta efficacemente. Rende tangibile, visibile, sonoro il carisma del poeta immaginifico.
Versi d'amore
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