Un solo paradiso
- Autore: Giorgio Fontana
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2016
Avevo letto “Per legge superiore”, di Giorgio Fontana e ora ritrovo lo scrittore milanese che in “Un solo paradiso”, il suo nuovo romanzo abbandona completamente il genere precedente per raccontare una storia drammatica, un dramma esistenziale, una perdita, una fuga, una scomparsa.
Siamo a Milano, in un bar periferico, dove un gruppo di amici aveva l’abitudine di riunirsi nelle ore libere dall’università. Ora sono passati molti anni, i ragazzi di allora sono diventati adulti, ognuno ha preso la sua strada, si sono per lo più persi di vista. Il narratore della storia, tornato da poco a Milano, capita per caso una sera proprio al Ritornello, un bar che ha cambiato proprietario, ora c’è una donna cinese al posto del vecchio proprietario, ma in fondo al locale scorge l’unico degli amici di cui non aveva più avuto notizie: Alessio Bertoli.
Questa è la storia terribile che Alessio vorrà raccontargli, malgrado la sua reticenza, e che il narratore alla fine ascolterà non senza disagio, fino alla conclusione.
La vicenda di Alessio non somiglia a nessun’altra, dal momento che il ragazzo si innamora di una giovane donna con la quale intraprende una storia d’amore che sembra travolgerli entrambi; sesso sfrenato, vicinanza, condivisione della passione per il jazz, la musica come collante del loro amore, un desiderio spasmodico, da parte di Alessio, di annullarsi nel corpo e nella testa di Martina; lei ha avuto storie precedenti, che non gli nasconde, e una convivenza di due anni con un uomo, Michele, da cui è stata tradita. Quando il rapporto fra Alessio e Martina, dopo un anno d’amore, sembra aver raggiunto una certa solidità, lei, quasi improvvisamente, lo lascia. Ama ancora Michele, che l’ha ferita, l’ha fatta soffrire, ma che lei vuole a tutti i costi. Per Alessio comincia così un calvario, una sofferenza mostruosa, una discesa agli inferi che lo condurrà presto all’alcolismo, alla dipendenza da farmaci, al licenziamento dal posto di lavoro, all’abbandono di ogni rispetto per se stesso, al barbonismo, alla mancanza di stimoli che gli permettano di dimenticare Martina; prova dapprima a distrarsi con i viaggi, poi con una donna che sembra piacergli, infine, dopo un ultimo tentativo di tornare a casa, dalla sua famiglia, in un paese al confine con le Alpi svizzere, si rende conto che neppure i genitori e il fratello sono disposti ad accettare la sua demenza. A quel punto, dopo l’incontro casuale con il narratore che ha ascoltato il suo racconto stralunato, scompare definitivamente.
Cosa ha spinto Alessio a tale scelta definitiva? Una sofferenza inaudita, alla quale non sa reagire:
“Perché comprese questo - il vero punto della storia - come mi disse finalmente al Ritornello: si sopravvive a tutti gli inferni, e non a un solo paradiso”.
In questo romanzo cupo, privo di colori, di speranze, di prospettive, Giorgio Fontana ci accompagna lungo una Milano spettrale, che è lo sfondo delle solitarie passeggiate di Alessio, solo con il suo senso di perdita esistenziale, incapace di cercare o trovare ragioni per sopravvivere, dopo che aveva capito che
“La fonte autentica della sua felicità stava proprio nel fatto di essersi reso inerme”.
La storia tragica del rapporto fallito fra due persone, capace di generare l’annichilimento del partner ferito e abbandonato, mi è sembrata un po’ troppo lunga, soprattutto nell’elencazione quasi maniacale con cui si enumerano le bevute di birre, whisky, amari, vini scadenti, bianchi e rossi, wodka, grappa, mischiati con lo xanax, alternati a dormite piene di incubi, in luoghi sempre più inospitali. La parte più interessante del racconto, invece, mi è apparsa la descrizione di una Milano sconosciuta, degradata, abbandonata a una sporcizia, uno squallore che contrasta fortemente con la visione che, dall’Expo in poi, si cerca di dare di una Milano che, se non è più quella da bere degli anni del craxismo e del berlusconismo trionfanti, forse non è neppure l’unica grande città europea esente da una decadenza che incombe su tutto il vecchio continente:
“Ecco che cos’era Milano. Una città di addii. Gli amori terminavano regolarmente a ogni ora, nei luoghi più imprevedibili (…) uomini e donne la cui sola presenza era ormai diventata intollerabile (…) Milano si ergeva sopra di lui come un regno di amanti delusi”
Giorgio Fontana ha una grande capacità di scrittura, una stile fortemente evocativo non solo di profondi sentimenti di dolore, di disturbi psicologici, ma anche di atmosfere che il disagio sociale delle nostre periferie è capace di suscitare; Alessio
“Spiava la sua città incollato al finestrino: la desolazione improvvisa di viale Cassala, il traffico lungo viale Jenner, la sopraelevata di viale Monte Ceneri che irrompeva sul paesaggio come la schiena di un drago. Sotto i piloni che la reggevano c’era sempre qualche auto scassata. Alessio non comprava mai il biglietto. La sera le corse erano piene di cinesi stravolti dalla fatica, di donne sudamericane che si prendevano in giro in spagnolo, corpulenti italiani pronti alla rissa e semplici ubriachi come lui”.
Un dolore privato che sembra assomigliare al dolore di un’intera città, forse la metafora della perdita del bello, dell’amore, dell’agiatezza, della felicità, della speranza di futuro, che ci sono apparse per molto tempo ricchezze conquistate per sempre.
Un solo paradiso
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