È vero che il giorno sapeva di sporco
- Autore: Mario Bonanno
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2017
“Disoccupate le strade dai sogni sono ingombranti, inutili, vivi i topi e i rifiuti siano tratti in arresto decentreremo il formaggio e gli archivi. Disoccupate le strade dai sogni, per contenerli in un modo migliore, possiamo fornirvi fotocopie d’assegno, un portamonete, un falso diploma, una ventiquattrore. Disoccupate le strade dai sogni, ed arruolatevi nella polizia, ci sarà bisogno di partecipare ed è questo il modo al nostro progetto di democrazia”.
Claudio Lolli è un cantautore, poeta, scrittore e professore.
“È una persona gentile che dice cose crudeli. Forse è perché staziona da sempre dalla parte del torto (brechtianamente dalla parte del torto), e dalla parte del torto si vede meglio come stanno le cose. Anche in fatto di ontologia minima e massima. Il gioco sempiterno delle parti in campo con pochi analgesici di scorta. Qualcosa di oltraggioso, in fin dei conti”.
Lolli è considerato uno fra i cantautori più impegnati degli anni Settanta ma è anche un poeta, uno scrittore, ateo e materialista.
Mario Bonanno, che da anni scandaglia il mondo dei cantautori, ha appena scritto un saggio proprio su di lui, “È vero che il giorno sapeva di sporco” (Stampa Alternativa, 2017), regalandoci un ritratto completo, non solo di uno dei più rappresentativi autori della canzone italiana ma anche e soprattutto di oltre trent’anni della storia italiana.
Leggendo l’appassionato saggio di Mario Bonanno si apprende che il microcosmo tematico-formale di Lolli non è specificamente politico - come molti lo definiscono e come lo è quello di un altro grande della canzone italiana, suo amico, Francesco Guccini - ma è anche e soprattutto esistenzialista, impressionista al contempo. Dal suo primo album Aspettando Godot del 1972 al suo più recente da poco pubblicato Il grande freddo (2017), Lolli ha mantenuto sempre un’atmosfera musicale greve e dei contenuti profondi e intimistici che gli hanno assegnato
“la fama di cantautore monocorde, tetro, per non dire depresso, autocompiaciuto dalla propria marginalità”.
Mario Bonanno, invece, con il suo argomentare attento ci fa conoscere un Lolli umano che ha avuto un’evoluzione critica verso sé stesso e verso la società e dei passaggi di consapevolezza, di denuncia e di riscatto. Al centro della produzione musicale e letteraria di Lolli c’è la sua Bologna. La Bologna delle contestazioni studentesche e operaie, dei carri armati di Cossiga, dei morti ammazzati, di radio Alice, del grande Movimento di cui Lolli canta l’ascesi senza abiure o livori nel suo disco Settantasette bolognese. Bologna con
“il suo cielo cupo, chiuso, senza un raggio di luce, un cielo che non si apre”
metafora di un’alba che si aspetta, proprio come Didi e Gogo aspettano Godot, di un intero periodo storico in cui abbiamo sognato, sperato che la responsabilità collettiva demarcasse il confine tra precarietà della vita, del mondo, delle parole e la libertà di pensiero, il senso più profondo di appartenenza alla polis, la grande utopia. I sogni e le speranze sono ritornati nel cassetto e la finta socialdemocrazia si è spalmata, omologandoci, globalizzandoci.
“Claudio Lolli è un cantautore schivo, ma non aristocratico. Un poeta marxista. Un kierkegaardiano senza fede, diviso tra la vita e la morte, come tra il personale e il politico. Un musicista stilisticamente anarchico, intrinseco a una libertà d’espressione senza compromessi. Intimista seppure osservatore acuto della società. Cantautore da sempre fuori fuoco e fuori dal coro, indifferente agli schemi della produzione discografica”.
E noi che lo seguivamo negli anni Ottanta e lo abbiamo dimenticato negli anni Novanta, grazie a Mario Bonanno lo abbiamo ri-incontrato, ed è stata un’emozionante e inaspettata sorpresa.
È vero che il giorno sapeva di sporco
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